In memoria del mio carissimo amico Paolo Pillitteri

Da Libero

Ci eravamo sentiti pochi giorni fa. Lo avevo cercato io, senza ottenere risposta. E mi ero impensierito. Ma Paolo Pillitteri mi aveva chiamato il giorno dopo con un filo di voce che, a pensarci, doveva impensierirmi ancora di più. Il piacere di risentirlo mi aveva distolto da ogni altra considerazione. E ne ho un grandissimo rimorso, ora che ho appena appreso dal figlio Stefano la notizia della morte mentre compiva 84 anni.

           Lo avevo cercato per commentare insieme la notizia giudiziaria del risarcimento dei danni ai proprietari dell’ultima area occupata abusivamente a Milano dal centro sociale noto col nome della strada del suo primo insediamento, intitolata al musicista Ruggero Leoncavallo. I cui Pagliacci quei contestatori avevano a loro modo deciso di recitare mettendo in croce di giorno e di notte, con le loro attività e musiche assordanti, gli abitanti incolpevoli della zona. Che protestavano scrivendo ai giornali.

         Fresco ancora di nomina a direttore del Giorno e incoraggiato dai rapporti di amicizia che avevo con lui, misi letteralmente in croce Paolo, sindaco della città, perché si desse da fare rendendola “da bere” -come si diceva allora, volendo dimenticare gli anni bui del terrorismo- anche agli abitanti di quella sfortunata strada del suo Comune.

         Non dovetti faticare molto per convincerlo. In una giornata di Ferragosto che doveva aiutarlo sul piano della sorpresa il sindaco tentò con i suoi vigili urbani, strappando anche agenti di polizia al prefetto e al questore poco convinti, di fare sgomberare l’area occupata dai contestatori. Che, quasi avvertendo la scarsa convinzione delle altre cosiddette autorità, opposero una resistenza da guerriglia. E l’area riprese o continuò ad essere occupata, come altre che poi i successori di Paolo a Palazzo Marino avrebbero praticamente permesso agli ormai leoncavallini d’anagrafe politica e sociale di sostituire a quella originaria.

Bettino Craxxi e Paolo Pillitteri

         Peggio dei leoncavallini tuttavia si comportarono con Paolo Pillitteri i magistrati che poi si occuparono di lui nelle indagini sul finanziamento illegale della politica e sugli altri assai presumibilmente reati connessi. L’essere cognato di Bettino Craxi, avendone sposato la sorella Rosilde, fini per diventare per Paolo un’aggravante nei processi di piazza che precedettero e accompagnarono quelli di tribunale.

Antonio Di Pietro

         Ma un’altra circostanza forse ancora più aggravante fu per Paolo la sua amicizia col sostituto procuratore subito diventato il più famoso della covata “Mani pulite”: Antonio Di Pietro, Tonino per gli amici. Il quale, ora disincantato ex magistrato ed ex politico, in odore o puzza di eresia agli occhi e alle orecchie di tanti giustizialisti incalliti, che non gli perdonano, per esempio, di essere favorevole, o almeno non contrario, alla separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, non me ne vorrà se continuo ad avere un sospetto. Che, sentendosi in conflitto d’interesse con l’amico Paolo indagato e poi imputato, egli fosse stato ancora più severo del necessario. Così andavano, del resto, le cose in quegli anni terribili: peggiori, secondo me, persino degli anni di piombo per la loro carica dirompente verso le istituzioni e la democrazia. Esse sopravvissero al piombo, ripeto, ma non so francamente se e quanto siano sopravvissute ai danni procurati da quel ribaltamento dei rapporti fra politica e giustizia certificato dall’insospettabile presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, scrivendone pubblicamente alla vedova di Craxi, Anna, nel decimo anniversario della morte del marito in terra tunisina.

         Proprio alla morte di Craxi, quasi venticinque anni fa, era stata negata peraltro a Paolo Pillitteri dalla magistratura milanese l’autorizzazione a lasciare l’Italia per il tempo necessario a partecipare ai funerali del cognato. La ciliegina, direi, sulla torta dell’orrore.

         Addio, Paolo, amico mio carissimo.

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