
La rapidità con la quale, d’intesa col Quirinale, la premier Giorgia Meloni ha voluto e potuto sostituire -in poche ore- il ministro degli affari europei Raffaele Fitto, dimessosi perché insediatosi a Bruxelles come uno dei vice presidente esecutivi e commissario del nuovo esecutivo europeo di Ursula von der Leyen, ha naturalmente un suo significato politico. Essa smentisce lo spettacolo, esasperato dalle opposizioni, delle divisioni o “schermaglie”, come le aveva definite la stessa Meloni, nel governo e nella maggioranza di centrodestra.
Inoltre, l’esplicito riconoscimento da parte della Meloni del nuovo ministro e collega di partito Tommaso Foti come “militante coerente e appassionato” colora di più la nomina, confermando la posizione dominante della destra nella coalizione di governo.

Ha un suo forte significato politico anche la decisione della Meloni di passare intatte a Foti, senza spacchettamenti e simili, di cui si era parlato nelle scorse settimane, le deleghe di Fitto. La cui rilevanza è stato peraltro sottolineata dal capo dello Stato quando ha incoraggiato il nuovo ministro, che aveva appena giurato, l’ importante ruolo di governo assunto dopo l’esperienza di capogruppo alla Camera.
Nel complesso la Meloni può considerare l’operazione lampo condotta per la sostituzione di Fitto come un rafforzamento del suo esecutivo. Mentre altri in Europa se la passano molto male: da Berlino a Parigi. In Germania sulla strada ormai delle elezioni anticipate, in Francia con il già agonizzante governo Barnier faticosamente nominato dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron dopo la sconfitta personale subita nelle elezioni europee di giugno. E il tentativo di recupero compiuto con le successive elezioni politiche anticipate.

In quello che la buonanima di Silvio Berlusconi definiva “il teatrino politico”, cui pure lui tuttavia finì per contribuire in Italia, resta alle opposizioni solo il solito gioco di rimessa e di incitamento alla rissa. “Forza Italia a mani vuote”, ha titolato per esempio Il Fatto Quotidiano scommettendo sulla delusione e sulle possibili ritorsioni del partito guidato dal vice presidente del Consiglio Antonio Tajani. Che forse aspirava a raccogliere per qualcuno dei suoi uomini almeno una parte del pacchetto delle deleghe di Fitto.

Di Tajani è stata offerta a sinistra in questi giorni anche la rappresentazione di un leader insidiato nella sua area dai riguardi della Meloni per il partitino molto visibile di Maurizio Lupi. Alle cui aspirazioni di crescita, dopo l’arrivo delle ex forziste Mariastella Gelmini e Mara Carfagna provenienti da Carlo Calenda, la Meloni ha voluto fare arrivare un pubblico messaggio di incoraggiamento.

Dalle parti di Domani, il giornale di Carlo De Benedetti che fa concorrenza a Repubblica nell’opposizione al governo, si è voluto indicare nella nomina di Foti, perché emiliano, il segno di una umiliazione del Sud, essendo Fitto meridionale.
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