
Le “schermaglie” nel centrodestra “diviso ma coeso”, come dice la premier Giorgia Meloni cercando di limitare i danni della concorrenza che si fanno nella coalizione i due vice presidenti del Consiglio e i rispettivi partiti, hanno distolto o ridotto l’attenzione da ciò che forse di ancora più significativo e importante sta maturando criticamente a sinistra. Più in particolare, nel Pd di Elly Schlein pur rafforzatosi nell’ultimo turno elettorale di questo calante 2024 anche dove ha perduto, in Liguria, e non solo dove ha vinto, in Emilia-Romagna e in Umbria.

Nella pur perduta, anzi riperduta Liguria, il Pd si è avvicinato al 30 per cento dei voti quasi doppiando il partito della premier e spingendo sotto il 5 per cento il movimento delle 5 Stelle, che neppure il genovese Beppe Grillo ha voluto andare a votare, come già si era risparmiato di fare nelle elezioni europee di giugno.
Pur avvolta nei numeri della Liguria e più ancora in quelli, ripeto, dell’Emilia-Romagna e dell’Umbria, peraltro tornata a sinistra dopo la parentesi leghista dell’ex governatrice Donatella Tesei, la Schlein deve guardarsi al Nazareno da una insoddisfazione crescente, trattenuta nei mesi scorsi solo dal clima elettorale di fine anno.
Avrebbe dovuto svolgersi già nello scorso mese di ottobre, rinviata appunto per le circostanze elettorali, la riunione di corrente, di area, di anima -chiamatela come volete- del presidente e mancato segretario del Pd Stefano Bonaccini appena conclusasi con due avvertimenti, a dir poco, dello stesso Bonaccini alla Schelin, al netto della cordialità dei loro incontri pubblici.
Il primo avvertimento è stato quello di prepararsi sin d’ora alle primarie per le candidature alle elezioni in liste bloccate, senza preferenze. Esse non potranno essere stese dalla segretaria e dal suo cerchio più o meno magico.

Il secondo avvertimento è contenuto in queste testuali parole di Bonaccini: “Lo schema del volta per volta del cosiddetto campo largo non basta più. Serve una nuova alleanza di centrosinistra. Non lasceremo più a nessuno il diritto di porre veti e ricatti”, come quelli di Giuseppe Conte ai renziani costati la sconfitta in Liguria.

Ma, oltre che dai “veti e ricatti” di Conte e di quel che rimarrà del suo movimento dopo il secondo tempo della partita simil-congressuale contro Grillo, salvo i tempi supplementari, il “campo largo” evocato da Bonaccini per indicare l’alternativa al centrodestra va forse difeso anche dalle incursioni, prenotazioni e quant’altro del “rivoltoso” Maurizio Landini, impegnato nella terapia degli scioperi dichiaratamente, orgogliosamente “politici”. Di una politica “seria” -sempre parola di Landini- mica quella armocromatica della Schlein e delle otto tonalità di rosso della sinistra, quante ne ha contate scrupolosamente una recente pubblicazione della Fondazione Feltrinelli recensita su Repubblica da Francesco Bei.
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