
Dev’essere costata molto a Giorgia Meloni la telefonata al premier israeliano Netanyau per dirgli a brutto muso che è “inaccettabile” la posizione da lui assunta contro la missione dell’Onu in Libiano, cui l’Italia partecipa con un importante contingente sotto attacco pur esso da parte dello Stato ebraico. Che reclama dalle forze multinazionali di sgomberare o arretrare per lasciare che gli israeliani proseguano le operazioni contro postazioni, arsenali e quant’altro dei terroristi di Hezbollah. Che hanno fatto in Libano come a Gaza, allestendo le loro macchine da guerra contro Israele sotto le abitazioni, le scuole, gli ospedali, le chiese, facendosene scudo. In Libano forse ancor più che a Gaza, usando come scudo anche l’Onu per la sua presenza militare nel territorio, disposta nell’ormai lontano 1978.
Delle fotografie col premier israeliano sono pieni gli archivi e gli album della stessa Meloni, che da quando è a Palazzo Chigi si è mossa sul terreno internazionale con grande visibilità vantando non a torto una più incisiva presenza del governo a livello mondiale. Eppure a precedere Meloni a Palazzo Chigi era stato un uomo, Mario Draghi, che di credito internazionale aveva saputo guadagnarne moltissimo, già prima e non solo dopo quel viaggio ferroviario con Macron e Scholz verso l’Ucraina aggredita e invasa da Putin con un’operazione “speciale” progettata per concludersi in un paio di settimane.
Purtroppo le cose negli ultimi mesi hanno preso a livello internazionale una piega che ha complicato azione, speranze, scommesse della premier. La quale deve centellinare incontri e telefonate con l’”amico Joe” in scadenza alla Casa Bianca, dopo averne raccolti baci e carezze sui capelli. E la successione non è scontato a favore della vice Kamala Harris, rimanendo un osso duro l’ex presidente e concorrente Donald Trump. Nei cui riguardi la Meloni peraltro deve stare attenta già di suo, appartenendo lui a livello mondiale alla stessa famiglia conservatrice della quale lei è la leader in Europa.

In Ucraina la guerra si è sviluppata sino alla “stanchezza”, lamentata una volta dalla stessa Meloni nella trappola telefonica tesagli da comici russi, e alla decisione di riparare con ripetuti incontri tutti molto amichevoli alla impossibilità che ha sul piano politico ad aiutare Zelensky come lui vorrebbe nell’uso delle armi occidentali per colpire obiettivi anche in territorio russo. E non solo per abbattere missili e altro che dalla Russia sono lanciati contro tutto ciò che ha la disgrazia di trovarsi sul suolo ucraino: oltre agli abitanti anche ospedali, scuole, centrali elettriche.

In Medio Oriente, poi, le complicazioni della guerra provocata dal pogrom di un anno fa si sono spinte sino a investire, come si è detto, la presenza dell’Unifil in Libano.
Di una sola cosa può consolarsi la Meloni: del fatto che in politica estera le opposizioni sono messe peggio della maggioranza di governo per divisioni, confusioni e quant’altro.
Pubblicato sul Dubbio
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