La Nato in 75 anni ha visto un’Italia di tutti i colori politici

Dal Dubbio

  Possiamo ben dire che alla Nato hanno visto e sperimentato l’Italia in tutti i colori politici possibili, anche quelli che potevano essere all’origine improbabili. Vi aderimmo con un governo a guida democristiana, il quinto di Alcide Gasperi, dopo uno scontro durissimo in Parlamento con una sinistra ancora da fronte popolare battuto nelle elezioni del 1948.

         Alle nozze d’argento dell’Alleanza Atlantica, nel 1974, l’Italia era già politicamente diversa. I governi erano ancora a guida democristiana, con Mariano Rumor a Palazzo Chigi, ma vi facevano parte anche i socialisti, che pure avevano spalleggiato i comunisti nella opposizione alla nostra adesione.

         Le nozze d’oro furono festeggiate dall’Italia con un governo presieduto per la prima volta nella storia della Repubblica da un post-comunista: Massimo D’Alema. Che è stato sinora anche l’unico perché Pier Luigi Bersani vi provò soltanto nel 2013, costretto a rinunciarvi dal suo ex compagno di partito e presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che, in particolare, gli impedì la formazione perseguita dall’allora segretario del Pd di un governo “di minoranza e di combattimento” appeso agli umori eventualmente astensionistici dei grillini. Napolitano declassò con una nota ufficiale del Quirinale a “pre-incarico” quello che tutti i giornali avevano definito incarico. E glielo tolse senza bisogno che l’interessato vi rinunciasse.

Giorgia Meloni

       Alle nozze di platino della Nato, nel 75.mo anniversario della fondazione, l’Italia ha partecipato col primo governo guidato non solo da una donna, ma da una donna di destra orgogliosamente dichiarata. La Meloni d’altronde già prima di salire a Palazzo Chigi, quando si opponeva al governo di Mario Draghi ne aveva condiviso il forte atlantismo praticato nel sostegno politico e militare all’Ucraina aggredita dalla Russia di Putin.

         L’edizione platinata, diciamo così, del vertice non solo celebrativo dell’Alleanza Atlantica ha ripagato forse la premier italiana degli inconvenienti politici che ha dovuto subire in Europa per i movimenti alla sua destra cavalcati con la solita disinvoltura dall’alleato Matteo Salvini. Che da una parte giura sulla durata del governo, di cui è vice presidente del Consiglio, sino alla fine ordinaria della legislatura, nel 2027, ma dall’altra contribuisce ogni volta che può e vuole ad assecondare la rappresentazione un po’ pasticciata che ne fanno le opposizioni di sinistra e di centro: a volte separatamente e a volte persino insieme, mettendosi in posa davanti a qualche fotografo.

         La politica estera è un po’ diventata, nonostante le salvinate dei giorni pari o dispari, o di tutti i giorni, il punto forte della Meloni: come accadeva alla Dc di De Gasperi e dei suoi successori. Cosa che contribuisce a coltivare nella politologia italiana la pianta, non so fino a che punto gradita alla premier, della democristianizzazione della destra. Una pianta scomoda alla parte del Pd d’origine scudocrociata.

Pubblicato sul Dubbio

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