
Marc Lazar, un fine storico e sociologo francese peraltro amico dell’Italia e conoscitore della sua politica generalmente complicata, ha commentato su Repubblica i risultati elettorali nel suo Paese evocando Pirro a distanza di 2304 anni dalla battaglia di Eraclea, solo apparentemente vinta dal re dell’Epiro perché in realtà fu la premessa della sconfitta finale. Egli ha intestato a Pirro il successo del fronte popolare guidato mediaticamente da Jean-Luc Melanchon, che reclama dal presidente francese Emmanuel Macron i gradi e quant’altro gli spetterebbero per avere consentito la sconfitta della destra lepenis

Quello invece al quale sta lavorando il presidente francese è “il piano anti-Melenchon”, come lo ha definito La Stampa, basato sull’obiettivo di spaccare il fronte popolare dopo averlo usato, e persino sollecitato, per non dovere coabitare -si dice in Francia- nei suoi residui tre anni di mandato all’Eliseo con un governo di destra.

Mi chiedo tuttavia se nei panni dell’incolpevole e lontanissimo Pirro non debba sentirsi o essere messo proprio Macron, più ancora dell’orgogliosamemte indomito Melenchon. Ho la sensazione che -bene che gli vada, e gli augura in Italia, come vedremo, Il Foglio di Giuliano Ferrara e di Claudio Cerasa- il presidente della Repubblica d’oltralpe sia destinato a gestire a lungo, per tutto il resto del suo mandato, salvo un altro ricorso l’anno prossimo ad elezioni anticipate, le condizioni di stallo in cui ha messo o portato la Francia.

“Il terzo turno di Macron”, hanno titolato Ferrara e Cerasa -eccoci tornati al Foglio– scrivendo nel sommario del titolo di prima pagina, con un certo sarcasmo verso i critici del presidente, che “la Francia della cosiddetta instabilità ha il premier di prima”, di cui sono state respinte per il momento le dimissioni, “e nuovi interlocutori con cui dialogare”. Ma con una calma che temo non permetteranno le condizioni della Francia, gli sviluppi della situazione internazionale, a cominciare dalla guerra in Ucraina che Putin ha reso ancora più feroce bombardando anche un ospedale pedriatico, e la gestione degli affari europei, chiamiamoli così, dopo l’ormai imminente insediamento anche del nuovo Parlamento di Strasburgo.

Senza risalire a 2304 anni fa -ripeto- e a Pirro, mi fermerei a meno di una trentina d’anni fa per ricordare altri eventi in terra oggi italiana: i tentativi di Romano Prodi, prima con l’Ulivo e poi con l’Unione, di governare con coalizioni appese ad un filo, e con cambi della guardia a Palazzo Chigi, la versione romana dell’hotel Matignon parigino, di una frequenza da cosiddetta prima Repubblica, odiata molto più del dovuto o dell’opportuno. Le uniche cose che Prodi riuscì a risparmiarsi da presidente del Consiglio furono nuove edizioni della famosa seduta spiritica alla quale aveva partecipato da semplice professore ai tempi del sequestro Moro, nel 1978.
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