
Di Enrico Boselli, a soli 67 anni e mezzo compiuti in una politica affollata per fortuna di giovani ma anche di anziani ben resistenti, si erano perse francamente le tracce. Magari, è stato lui per primo a volersi appartare per delusione, come per spalmarsi del balsamo della solitudine. Eppure fu il più giovane presidente di una regione in Italia. E che regione: l’Emilia Romagna. Fu a lui, prima ancora che a Ottaviano Del Turco, succedutogli nel marasma di Tangentopoli, o a Giuliano Ferrara, inchiodatosi nella postazione giornalistica offertagli da Silvio Berlusconi, che Bettino Craxi pensò di lasciare la segreteria del Partito Socialista nel momento della rinuncia dopo il coinvolgimento anche formale nelle indagini giudiziarie sul finanziamento illegale della politica. A dissuaderlo fu Ugo Intini non perché vi aspirasse lui stesso o perché preferiva altri candidati, ma solo per il timore che Boselli incarnasse una specie di riedizione funesta della gioventù hitleriana bruciata nella Berlino ormai caduta.

A raccontarlo è stato lo stesso Boselli, intervistato per il Corriere della Sera da Francesco Verderami nella serie fortunata e spesso clamorosa dei “Segreti del potere”: la stessa nella quale di recente il cardinale Camillo Ruini ha confermato e completato il racconto sul presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro impegnato nell’estate del 1994 a far cadere il governo di Silvio Berlusconi appena nominato da lui stesso a malincuore. Un impegno al limite dell’eversione nel quale il Capo dello Stato aveva cercato l’aiuto persino della Chiesa, invitando al Quirinale, con Ruini allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana, anche il Segretario di Stato Angelo Sodano, cardinale pure lui naturalmente, e monsignor Jean Louis Touran, addetto della Santa Sede ai rapporti con gli Stati. Il rifiuto dell’aiuto fu unanime, anche se dopo qualche mese il governo cadde lo stesso.

Ma più che il racconto dell’opposizione dell’ormai compianto Intini -da lui ora ringraziato dopo essersene sentito allora ferito- ad una sua successione drammatica a Craxi al vertice del Psi, sono clamorosi – nell’intervista di Boselli- alcuni aspetti rivelati dell’operazione di annientamento politico dei socialisti condotta o attribuita a Massimo D’Alema. Che è stato sempre intravisto da Boselli dietro la sua convocazione a Palazzo Chigi da parte di Giuliano Amato, succeduto allo stesso D’Alema per la sua seconda esperienza di presidente del Consiglio dopo quella voluta da Craxi nel 1992. Fu allora che ai socialisti ancora ostinati nel conservare un partito dichiaratamente socialista fu proposto di dissolversi nell’ormai ex Pds, oltre che ex Pci, o scomparire. Boselli, accompagnato all’incontro dall’amico Roberto Villetti, ex direttore dell’Avanti!, preferì praticamente la scomparsa. D’altronde -sorpresa nella sorpresa- neppure Giuliano Amato, perdonato della sua esperienza con Craxi da D’Alema prima come ministro dei suoi due governi di breve durata e poi -ripeto- come suo successore a Palazzo Chigi, su richiesta esplicita di Villetti, si era dichiarato disposto a iscriversi ai Democratici di sinistra, come i post-comunisti avevano deciso di chiamarsi rinunciando anche al partito come parola.

Per tempi e modalità quell’operazione contro i socialisti -degni del loro nome oltre le Alpi ma non in Italia- apparve ma forse fu a mezza strada tra fratricidio e razzismo politico. Essa d’altronde non mi sembra abbia portato bene alla sinistra italiana, né nei suoi vari agglomerati politici ed elettorali, per quanto apparvero fortunati ai tempi prodiani dell’Ulivo, un po’ meno dell’Unione, né nelle foto che l’hanno via rappresentata. L’ultima delle quali è quella scattata sotto la statua di Cavour e davanti alla sede della Cassazione per la madre di tutte le battaglie che sembra diventata -al pari del premierato a destra per Giorgia Meloni- l’iniziativa referendaria contro le autonomie differenziate delle regioni. Che sono state tradotte in legge ordinaria dal centrodestra ma introdotte nella Costituzione dalla stessa sinistra nel 2001, nel tentativo per giunta fallito di evitare un ritorno della Lega nel centrodestra.
Se la sinistra italiana non sta bene, anche quella francese ha i suoi problemi. Essa ha appena vinto le elezioni ma senza i numeri e l’omogeneità per governare. E quella inglese è tornata al governo con meno voti degli sconfitti per regole elettorali definite “inquietanti” per l’Italia da Walter Veltroni sul Corriere della Sera.
Pubblicato sul Dubbio
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