Dallo strappo al budino della Meloni nella partita europea di Bruxelles

Dal Dubbio

E’ bella la sensazione, per quanto illusoria, di ringiovanire con la cronaca, specialmente quella politica, che è alquanto accidentata. Lo “strappo”, per esempio, evocato nel suo titolo di apertura della Stampa riferendo del Consiglio Europeo -a proposito dell’astensione di Giorgia Meloni sulla designazione della pur ormai amica tedesca Ursula von der Leyen per la conferma a presidente della Commissione e del no opposto al socialista portoghese Antonio Costa come presidente del Consiglio e alla liberale estone Kaja Kallas ad alto commissario per la politica estera e la sicurezza dell’Unione- mi ha portato indietro di una cinquant’anni.

Dalla Stampa di ieri

Allora si scriveva e si parlava degli strappi, al plurale, di Enrico Berlinguer non da Bruxelles ma da Mosca, non dall’Unione europea che doveva ancora arrivare, ma dall’Unione Sovietica e dal partito comunista che l’aveva praticamente fondata e la governava. E che erano stati per lungo tempo -l’una e l’altro- i riferimenti obbligati del partito comunista pur italiano.

         Berlinguer cominciò con la indivisibilità del concetto e del principio della libertà. Che fece mormorare i sovietici ai quali parlava ed esultare a Roma il non certamente comunista Ugo La Malfa, tanto da fargli ritenere praticabile, anzi “ineluttabile”, fra le proteste e gli insulti del suo amico Indro Montanelli, un’intesa fra la Dc e il Pci per fronteggiare le emergenze economiche e di ordine pubblico che attanagliavano il Paese.

Enrico Berlinguer

         Il segretario del Pci, che aveva già posto il problema di un “compromesso storico” con i democristiani dopo il tragico epilogo dell’esperienza cilena di un governo delle sole sinistre, continuò dicendo a Giampaolo Pansa -in una intervista al Corriere della Sera- di sentirsi protetto pure lui dall’alleanza atlantica. Salvo poi, in verità, contestare anche nelle piazze il piano di riarmo missilistico della Nato predisposto e attuato per recuperare lo svantaggio derivato dalla installazione degli SS 20 puntati conto le capitali dell’Europa occidentale dall’alleanza dei paesi comunisti dell’Est.

         Infine Berlinguer annunciò in una tribuna elettorale televisiva la “fine della fase propulsiva della rivoluzione d’ottobre” comunista commentando in televisione la situazione della Polonia. Dove per dissuadere i sovietici dall’occuparla un generale assunse la guida di un governo a garanzia della fedeltà a Mosca.

Amintore Fanfani

         Certo, gli strappi dell’allora segretario del Pci, espostosi tanto nel dissenso da Mosca da procurarsi un attentato in Bulgaria salvandosene miracolosamente, sono ben diversi da quello appena attribuito alla Meloni da Bruxelles nel Consiglio europeo. Che vi è andata -non dimentichiamolo- dopo un dibattito parlamentare in Italia conclusosi con un voto di maggioranza, sia alla Camera sia al Senato, e un incontro col presidente della Repubblica preoccupato pure lui -a dir poco- della possibilità che i nuovi assetti europei fossero decisi prescindendo dall’Italia. Ma il termine “strappo” per indicare, sia nel bene sia nel male, reale o presunto che sia, una svolta ha una sua suggestione. Potrebbe essere inclusa fra le “parole magiche” della politica, per usare un’espressione dell’allora presidente del Senato Amintore Fanfani. Che peraltro non ne era tanto convinto o soddisfatto perché indirizzate, quelle parole tipo “confronto”, a sostenere la “irreversibilità” del centrosinistra che, secondo lui, condannava quella formula a non dipendere più dalla supremazia della Dc nei rapporti con i socialisti. Eppure nel 1973 sarebbe toccato proprio a lui, a costo di sostituirsi alla segreteria del partito al suo ormai ex delfino Arnaldo Forlani ripristinare l’alleanza col Psi interrottasi l’anno prima per l’elezione di Giovanni Leone al Quirinale.

Giorgia Meloni a Bruxelles

         Lo strappo -ripeto- della Meloni da Bruxelles preoccupa oggi la sinistra, o gran parte di essa, per una temuta prevalenza della leader della destra italiana sul suo suolo di presidente del Consiglio: una prevalenza avvertita anche nella titolazione da un giornale come il Riformista. Ma la premier ha solo avviato, non concluso una partita, che è quella della formazione della nuova commissione e del posto che riuscirà a farvi assumere dall’Italia, intesa sia come governo sia come “Nazione”, per usare un’espressione cara alla Meloni e spesso dileggiata da certe opposizioni. Bisognerà quindi vedere come si concluderà questa partita. Il budino notoriamente, e giustamente, si prova mangiandolo.

Pubblicato sul Dubbio

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