Eccezionale testimonianza d’accusa al falso mito di “Mani pulite”

Dal Corriere della Sera di ieri

Finalmente. A 32 anni di distanza dalle falsamente mitiche “mani pulite”, destinate a travolgere la cosiddetta prima Repubblica, l’onestissimo post-comunista Giovanni Pellegrino -che all’epoca era presidente della giunta delle immunità del Senato, dove approdavano le richieste della magistratura contro i politici indagati per corruzione, concussione eccetera eccetera- ha raccontato in una intervista al Corriere della Sera la verità, tutta la verità nei dettagli politici più clamorosi. Sbagliando però il finale ottimisticamente dicendo che il piano teso a imporre “il primato del potere giudiziario”, come lui lo ha chiamato, non si è realizzato per merito, iniziativa e quant’altro della stessa magistratura. Che avrebbe saputo trovare al suo interno la forza di resistere alle spinte estremistiche.

Il racconto dell’ex senatore Giovanni Pellegrino

         “La magistratura -ha detto, in particolare, Pellegrino- è un potere diffuso. Ognuno fa come gli pare. Infatti la Procura di Brescia colpì Di Pietro, che aveva ambizioni politiche”, solo in parte realizzate diventando “ministro di Prodi e poi leader di partito”, come lo ha interrotto l’intervistatore Francesco Verderami. “Ma la sua ambizione -lo ha interrotto a sua volta Pellegrino- era diventare presidente del Consiglio”.

         “Se penso a quegli anni -ha continuato e insistito Pellegrino- mi viene da piangere. Mani pulite non realizzò il suo disegno ma distrusse il sistema dei partiti. Avevo stima dei magistrati di Milano. Borrelli lo guidava benissimo. Ma il loro principio, che si basava sul primato del potere giudiziario, era in contrasto con il disegno costituzionale”.

Massimo D’Alema

         Le prime preoccupazioni contro quel “principio” sovversivo avvertito dalla sua postazione parlamentare Pellegrino le espose ad un Massimo D’Alema che conosceva già bene e dal quale forse si aspettava comprensione. Ma D’Alema lo deluse parlandogli di una “rivoluzione” ormai avviata, per la quale si potevano pagare anche i prezzi degli eccessi: dalle manette ai processi surreali. E allo scambio per corruzione di qualsiasi finanziamento illegale o irregolare: un fenomeno praticato da tutti -ma proprio tutti- i partiti in campo, compreso quello di Pellegrino e D’Alema, ha spiegato e raccontato lo stesso Pellegrino.  

Magistrati di “Mani pulite” in galleria a Milano

         Poi, quando in un momento stagionale di riposo o distrazione una magistrata a Milano -la famosa Tiziana Parenti, destinata anch’essa ad un’esperienza politica, ma sul versante opposto a quello di D Pietro- prese di mira il segretario amministrativo del Pds-ex Pci, D’Alema si svegliò da quella specie di sonno in cui, secondo Pellegrino, lo aveva messo “Luciano”, cioè Violante, dicendogli che il già partito comunista sarebbe stato praticamente risparmiato dalla rivoluzione giudiziaria. Egli spronò quindi Pellegrino a parlare e a muoversi contando su di lui, che non poteva esporsi più di tanto in prima persona avendo sulle spalle il fiato giustizialista dell’allora segretario del partito, Achille Occhetto.

Da Libero

         Ho avuto l’occasione di conoscere Pellegrino quando gli toccò di presiedere la commissione parlamentare di indagine sulle stragi impunite. E ci trovammo d’accordo nella valutazione di alcuni misteri -rimasti ancora tali- della tragedia di Aldo Moro, che fu possibile anche per la capacità avuta dal terrorismo di infilarsi nelle maglie dello Stato. Intuisco pertanto quanto possa essere costato umanamente, oltre che politicamente, all’ex parlamentare della sinistra parlare finalmente di “mani pulite” come ha fatto col Corriere. Cioè lamentando e sotto certi aspetti denunciando limiti e colpe della sua parte politica in quella che io considero -diversamente da lui- la resa finale della politica ad una magistratura avida di potere. Una magistratura che -credo, non a caso- attraverso i suoi organismi sindacali sostenuti dal solito e solido schieramento mediatico sta respingendo come una “vendetta” e un attacco alla Costituzione la riforma della giustizia appena proposta dal governo.

Essa osa -pensate un po’- tentare davvero, questa volta che ci sono i numeri parlamentari per farlo, di separare le carriere dei giudici e dei pubblici ministeri. E applicare il principio del “processo giusto” introdotto nella Costituzione nel 1999: un processo “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità davanti a giudice terzo e imparziale”. Ciò che manca, direi, alla sconfitta vera del progetto di “mani pulite” di imposizione del potere giudiziario su ogni altro, a cominciare dalla politica per finire con l’informazione. Sì, anche l’informazione, che ora scimmiotta la resistenza di certa magistratura alla prospettiva di rientrare nei ranghi immaginati dai padri costituenti.

Il tempo probabilmente non è trascorso invano.

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