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La festa della Repubblica è stata rovinata dalla Lega, esasperata in una rivendicazione di sovranismo nazionale a pochi giorni dalle elezioni -sabato e domenica prossimi- per il rinnovo del Parlamento europeo. Un Parlamento nel quale il Capo dello Stato Sergio Mattarella, parlando ai prefetti, aveva visto e indicato “la sovranità” -testuale- della “più ampia comunità dell’Unione Europea cui abbiamo deciso di dar vita con gli altri paesi liberi del continente”. Un’estensione interpretativa -ha cercato di spiegare il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda- dell’articolo 11 della Costituzione, che prevede “limiti alla sovranità” quando si aderisce a organizzazioni internazionali finalizzate alla pace.
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Il senatore leghista Claudio Borghi, non nuovo a sortite sovranistiche e sofferente -diciamo così- sin dalla creazione dell’euro, ha diffuso un tweet contro Mattarella prospettandone le dimissioni “se pensa davvero -ha scritto- che la sovranità sia dell’Unione Europea e non dell’Italia”.
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Intervistato da Monica Maggioni, della Rai, il leader leghista Matteo Salvini non si è lasciato trattenere dalla doppia carica di governo che ricopre come vice presidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture. Pur con l’aria di non avere letto il tweet dell’amico e collega di partito, ed evitando di parlare pure lui di dimissioni di Mattarella, ha sostanzialmente ripetuto concetti e proteste di Borghi sull’eccesso, diciamo così, di sovranità europea in cui sarebbe incorso il presidente della Repubblica. “Rincara la dose”, ha titolato Repubblica.
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Alle opposizioni, ma anche a componenti della maggioranza di governo come la Forza Italia del vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, non è parso vero di potere spargere benzina sul fuoco, o immergere il cucchiaio nella brodaglia. E di contribuire così anche loro a guastare la festa della Repubblica appena conclusasi con la parata militare ai Fori Imperiali e le frecce tricolori svettanti nel cielo di Roma pur disturbato dalle nuvole. Che sono state niente rispetto a quelle politiche addensatesi sulla parte finale di questa lunghissima campagna elettorale cominciata ben prima del suo inizio formale.
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La premier Giorgia Meloni, alla quale il Corriere della Sera ha attribuito una “richiesta di marcia indietro” a Salvini, avrebbe fatto volentieri a meno di questa “bufera”, come ha titolato lo stesso Corriere. Ma le è toccata anche questa ciliegina tossica sulla torta del voto del’8 e 9 giugno. Si vedrà se e con quali effetti sull’affluenza alle urne e sul risultato di ciascun partito, di maggioranza e di opposizione, in una competizione a sistema completamente proporzionale.
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Ai suoi tempi Amintore Fanfani invitava perentoriamente e toscanamente i suoi amici di partito a coprirla quando la facevano grossa. Chissà se la Meloni lo sa ed è in grado, o le viene voglia, di imitarlo in romanesco.
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