Il fantasma di Berlusconi irrompe nella campagna elettorale

Dal Dubbio

Sbaglio o Matteo Salvini ha un po’ mollato nella campagna elettorale per le europee il generale Roberto Vannacci, pur voluto così fortemente nelle liste da avere provocato una mezza rivolta nella Lega? Il generale, per carità, continua ad esporsi e a guadagnarsi l’attenzione dei grandi giornali. Il Corriere della Sera, ad esempio, gli ha appena mandato appresso un inviato nel Bolognese, Nino Luca, per raccoglierne anche i sospiri. Ma Salvini -ripeto- sembra essersene un po’ distaccato. E non credo per paura dei leghisti che non hanno nascosto l’intenzione di mettere nel contenzioso del dopo-elezioni con lui anche la forzatura che hanno avvertito nella sostanziale imposizione del candidato che viene ormai chiamato come il mondo del suo primo libro: “al contrario”.

Matteo Salvini e Roberto Vannacci d’archivio

         Salvini sembra avvertire maggiormente da qualche giorno non più il problema di togliere voti alla Meloni sulla destra -dove peraltro la premier si è appena guadagnata qualche parolina gentile della francese Marine Le Pen, che pare abbia smesso di rimproverarle chissà quali accordi presi sottobanco in Europa con Ursula von der Leyen per una conferma alla presidenza della Commissione di Bruxelles- ma il problema di evitare il sorpasso di Antonio Tajani. Che si è proposto di classificarsi al secondo posto nel centrodestra rivendicando l’eredità di Silvio Berlusconi. Un’eredità invece che Salvini gli contende in qualche modo, non lasciandosi scappare un’intervista o un discorso per ricordare “Silvio”, come lo chiama, e rimpiangerlo. Cosa, questa, che una volta tanto il vecchio e insofferente Umberto Bossi non può contestargli perché del compianto fondatore di Forza Italia egli era diventato quasi un amico intimo, dopo il tempestoso inizio dell’alleanza politica ed elettorale, interrotta alla fine del 1994 per paura di esserne fagocitato. E su pressione confessata dallo stesso “senatur” dell’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

Marta Fascina al Giornale di ieri

         Silvio qua e Sllvio là, dice Salvini, come si canta di Figaro nel “Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini. Al punto che forse non a caso Marta Fascina, l’ultima quasi moglie di Silvio, appunto, si è lasciata intervistare dal Giornale ora parzialmente di famiglia per dire non più tardi di ieri: “Auspico un buon risultato per Forza Italia, anche e soprattutto come tributo alla memoria del suo leader fondatore a cui tutti dobbiamo gratitudine e riconoscenza. Se siamo ciò che siamo lo dobbiamo tutti a lui. Ma Forza Italia, quale partito che Silvio ha condotto con orgoglio nel Partito Popolare Europeo, la grande casa della democrazia e della libertà, ad esito di queste elezioni sarà sicuramente nella tolda di comando dell’Europa dei prossimi 5 anni”.

         Ma Salvini e la Fascina non sono i soli a evocare Berlusconi nella corsa al voto dell’8 e 9 giugno a sostegno dei loro rispettivi partiti. Lo ha appena evocato in una intervista a Repubblica, e non per la prima volta, Matteo Renzi per contestare, come candidato al Parlamento europeo, alla “falsa” candidata Giorgia Meloni, che rimarrà rigorosamente a Roma, la dabbenaggine di non avere appreso la lezione del Cavaliere di navigare nelle acque del Partito Popolare. Dove però neppure Renzi, altro aspirante erede dei voti di Berlusconi, ha intenzione di nuotare o viaggiare preferendo notoriamente la compagnia del presidente francese Emmanuel Macron, e scommettendo su Mario Draghi al vertice dell’Unione.

Matteo Renzi a Repubblica di ieri

         Renzi ha tuttavia pasticciato un po’ nella ricostruzione del tuffo di Berlusconi nelle acque per lui salvifiche del Partito Popolare Europeo. Sarebbero stati, in particolare, “Helmut Kohl e Jose Maria Aznar -ha raccontato l’ex premier toscano- a spedire il giovane Agag”, imprenditore spagnolo, “da Silvio Berlusconi per coinvolgerlo nel Ppe” apprezzandone la consistenza elettorale  in Italia e quindi l’utilità, praticamente, di annetterla a livello continentale. No, le cose non andarono esattamente così. L’operazione di aggancio di Berlusconi al Partito Popolare Europeo fu condotta in Italia dall’allora alleato e democristiano doc Pier Ferdinando Casini. Che ne è rimasto orgoglioso anche dopo avere rotto con “Silvio”, come anche lui chiamava il Cavaliere, ed essersi accasato come ospite nelle liste del Pd per rimanere in Parlamento, ormai da veterano, o quasi.

Pubblicato sul Dubbio

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