L’ordine è tornato sul Colle dopo le proteste di Mattarella per i manganelli

Dal Dubbio

Per quanto garantitosi -accorto com’è sul piano costituzionale e politico- con il consenso ottenuto senza molta fatica dal ministro dell’Interno in una lunga telefonata, e anche con una informazione personale alla premier sulla propria iniziativa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è scomodamente trovato sui giornali per qualche giorno come il capo dell’opposizione, anzi delle opposizioni.

Mattarella e Piantedosi al Quirinale

La sua protesta contro l’uso, cioè l’abuso dei manganelli in piazza contro ragazzi in manifestazioni di protesta, e le inchieste che ne sono seguite sul piano disciplinare, fra le stesse forze dell’ordine, e su quello giudiziario nella Procura di Pisa, hanno esposto il capo dello Stato a fraintendimenti forse superiori alle sue aspettative. Fra i quali temo che abbiano prevalso sulle strumentalizzazioni delle opposizioni, giunte a chiedere le dimissioni del pur consenziente ministro dell’Interno con Mattarella, gli errori -a dir poco- di esponenti della maggioranza e dello stesso governo.

         Penso, per esempio, al deputato Giovanni Donzelli, del partito della premier, e soprattutto al vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini. Che, anzichè riconoscersi nei giudizi e nell’iniziativa del capo dello Stato, ha rifiutato un commento a chi glielo chiedeva, o prima ancora che glielo chiedesse. Ed ha preso delle forze dell’ordine una difesa pregiudiziale e assoluta, smentita dalle inchieste nel frattempo aperte e dalla stessa storia del suo movimento. Nella cui sede un dirigente già allora di primo piano, che sarebbe diventato addirittura ministro dell’Interno, il compianto Roberto Maroni, prese a morsi alle gambe alcuni agenti di Polizia impegnati nel loro servizio d’ordine. Eh, se solo Salvini e altri, magari non solo del suo partito, pensassero un po’ di più prima di parlare.

         Il disordine, chiamiamolo così, involontariamente provocato da Mattarella con le sue telefonate a Piantedosi e alla Meloni e col suo comunicato sul manganello “fallimentare” nell’uso contro i ragazzi, è durato fortunatamente poco, con sollievo -credo- del presidente della Repubblica per primo.

         L’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è già ripreso il suo posto, conteso dalla segretaria del Pd Elly Schlein, o viceversa, di capo dell’opposizione, al singolare non se più arbitrario o miracoloso, aprendo un altro contenzioso col governo sul piano della politica estera.

Meloni al G7 a Kiev

L’ombra di Conte s’intravvede, in particlare, dietro la rumorosa protesta del Fatto Quotidiano, su tutta la prima pagina di ieri, contro l’accordo decennale di solidarietà e assistenza firmato a Kiev da Giorgia Meloni con Zelenky a nome dell’Italia in occasione del G7 svoltosi nella capitale ucraina nell’ormai terzo anno della guerra d’invasione “denazificante” chiamata a Mosca “operazione speciale”. L’intesa sarebbe stata studiata apposta “senza passare dal Parlamento”, ha protestato il giornale generalmente in sintonia con l’ex premier, Che è ancora considerato sotto le cinque stelle il migliore capo del governo avuto dall’Italia dopo la buonanima di Camillo Benso di Cavour.

Giuseppe Conte

         E’ prevedibile, con questo tipo di protesta, una campagna per reclamare e ottenere un passaggio parlamentare di formale o sostanziale ratifica dell’accordo. Ma è altrettanto prevedibile la partita difficile che si aprirebbe in questo caso fra le opposizioni, in particolare fra il Pd e il Movimento 5 Stelle e all’interno del Pd, per arrivare a un comune comportamento, o pasticcio.  Una partita nella quale Conte, come al solito, partirebbe in vantaggio su posizioni radicalmente contrarie, anche se gli aiuti italiani all’Ucraina dopo l’invasione russa cominciarono col governo Draghi di cui era ministro dagli Esteri l’ancora grillino Luigi Di Maio. Che ruppe col suo partito protestando pubblicamente contro i contatti fra Conte e l’ambasciata russa a Roma per disimpegnarsi dalla linea di appoggio all’Ucraina. Seguirono anche per questo, se non soprattutto per questo, una crisi di governo e le conseguenti elezioni anticipate del 2022, con un Pd guidato da Enrico Letta su posizioni che ancora oggi Conte definisce “belliciste” e attribuisce anche alla Schlein, in “elmetto” come il suo predecessore

         Il ritorno alla questione ucraina chiude definitivamente anche la parentesi del manganello attribuito disinvoltamente a Mattarella contro il governo. E’ arcinota la posizione antiputiniana del capo dello Stato sull’Ucraina, anche se Putin ha recentemente dichiarato a Mosca, sorprendentemente creduto un po’ da Zelensky a Kiev, che in Italia gode ancora di molte simpatie, o quasi.

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