
Quello della politica estera è stato, almeno fino all’altro ieri, il terreno più fortunato o meglio riuscito di Gorgia Meloni alla guida del suo primo governo. Eppure era il più difficile anche per la campagna orchestrata contro di lei prima e dopo la prevista, anzi scontata vittoria elettorale nel 2022. Campagna riempita peraltro di significati o cattivi auspici per la coincidenza col centenario della marcia fascista su Roma. Che si svolse fra l’indifferenza, la paura o persino la complicità di una Monarchia che poi l’avrebbe pagata carissima. Questa volta al Quirinale c’era e c’è un presidente della Repubblica che avrebbe potuto impressionarsi davanti alla campagna di stampa, e culturale, orchestrata contro la Meloni, ma non ha esitato un istante a tradurre il risultato elettorale come poteva e doveva. E ha anche supportato poi ila premier in qualche passaggio difficile, smentendo retroscena e simili di segno opposto.

Temo più per tattica che strategia, più per la soddisfazione, sotto sotto, di vedere primeggiare all’opposizione la collega di genere Elly Schlein, con la quale non a caso sta preparando un duello televisivo in diretta, che Giuseppe Conte, di fatto il più irriguardoso possibile nei suoi riguardi ogni volta che ne ha l’occasione verbale e persino fisica, con certi atteggiamenti leninisti nell’aula di Montecitorio, dove finalmente ha un seggio di elezione e non d’ufficio, come quando era presidente del Consiglio ma non parlamentare; temo, dicevo, che più per tattica che per strategia, la Meloni abbia forse scoperto un po’ troppo il fianco, almeno per i miei gusti, sul fronte mediorientale. Dove ha preteso la richiesta del rilascio degli ostaggi di Hamas per far passare con l’astensione della maggioranza il documento del Pd per la rinuncia di Israele al fuoco contro Gaza, ma ha finito per far pendere la blilancia dell’impressione, più che dell’opinione pubblica, maggiormente contro Israele per la potenza di foco e di morte impiegata nella rappresaglia contro il pogrom del 7 ottobre,.Come se i terroristi di Hamas, nonostante la decimazione della popolazione che ritengono di difendere e rappresentare, non avessero rinunciato in questi mesi d guerra, che pure dovevano avere messo nel conto della loro aggressione, a usare quella povera gente, le loro case, le loro scuole, i loro ospedali, i loro campi profughi, le loro chiese e persino certi uffici delle Nazioni Unite come scudi, per proteggere nei sotterranei i loro arsenali militari.
Le esigenze tattiche alle quali credo abbia ceduto Meloni con la votazione sul documento parlamentare del Pd a Montecitorio non hanno incrinato il suo fronte parlamentare. Ma ha letteralmente spaccato il suo fronte mediatico, diciamo così. Che si è diviso fra Il Giornale di Alessandro Sallusti, che ha coperto la premier sino a scrivere che nulla è cambiato rispetto a prima, e il quotidiano Libero, dello stesso editore, che ha dissentito con un editoriale scritto personalmente, con la solita franchezza dal direttore Mario Sechi. Che pure è stato per qualche mese capo dell’ufficio stampa della premier, come ancora gli rimproverano nei salotti televisivi dei quali è ospite. Un Sechi pungente e filoisraeliano quanto Giuliano Ferrara sul Foglio, del quale non a caso è stato a suo tempo un collaboratore.
Pubblicato sul Dubbio
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