
Non so se per ragioni più di prigrizia o di calcolo, temendo in quest’ultimo caso di portare acqua ad un mulino sgradito, si misurano più le piccole distanze elettorali e sondaggistiche fra il Pd di Elly Schlein e il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte che quelle consistenti fra il Pd anche della Schlein, dopo quello di Enrico Letta, e la destra di Giorgia Meloni. Che, in dimensioni ormai democristiane, sovrasta di una decina di punti il partito nel quale confluirono i resti del Pci e della sinistra scudocrociata nel 2007. Quando Walter Veltroni pensò di poter strappare con quell’operazione al centrodestra a forte trazione ancora berlusconiana l’eredità elettorale, politica e maggioritaria della Dc. Che era stata sciolta 14 anni prima da Mino Martinazzoli nella speranza rapidamente svanita di farla rivivere nell’originario partito popolare del compianto don Luigi Sturzo.
Quella fusione tra “anime”- si disse- così diverse fallì non meno del sogno di Martinazzoli e fu impietosamente e rapidamente declassata, come si ricorderà, da Massino D’Alema ad “amalgama malriuscito”. Cui si cerò di rimediare prima virando ancora più a sinistra con Pier Luigi Bersani e poi più verso il ricordo democristiano con due segretari di comune origine scudocrociata ma che più diversi fra di loro non potevano essere o rivelarsi come Matteo Renzi ed Enrico Letta. Fra i due ci fu l’intermezzo dell’ex funzionario del Pci Nicola Zingaretti.
Messasi in politica da ragazza quando la Dc già boccheggiava e la destra cominciava a raccoglierne l’eredità elettorale a Roma con Gianfranco Fini arrivato al ballottaggio pur sfortunato per il Campidoglio contro Francesco Rutelli, Giorgia Meloni non porta nel suo bagaglio d’opposizione l’antidemocristianismo, diciamo così. Porta solo anticomunismo prima e antisinistrismo generico poi. Che le permette ora di non essere vista così pericolosamente da quel che rimane del vecchio elettorato democristiano o dei suoi figli e nipoti.

Non è per caso che non un blasonato democristiano a riposo come Pier Ferdinando Casini, a suo agio ormai come ospite del Pd nei ritorni al Senato, ma un democristiano ancora alle prese con le pratiche del tesseramento di una Dc immaginaria come Gianfranco Rotondi, dopo un lungo passaggio per Arcore, sia entrato non dico nel cerchio magico o familiare di Giorgia Meloni ma quasi. Egli ha partecipato con entusiasmo alle sue feste anche di compleanno.


Un’accelerazione sulla strada di una certa democristianizzazione della destra meloniana – altro che l’omaggio ad Antonio Gramsci da parte del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano con una targa commemorativa ventilata nella clinica romana dove morì il fondatore del Pci- – è seguita anche alla conferenza stampa d’inizio d’anno della premier. Che ha approfittato, per esempio, dell’occasione offertale da Giuliano Amato con le stizzite dimissioni dalla guida di una commissione di studio ed altro sull’intelligenza artificiale per sostituirlo con un frate e teologo – Paolo Benanti- consigliere del Papa. Cosa, forse, che neppure un presidente del Consiglio davvero democristiano avrebbe fatto per paura di non apparire abbastanza laico o “adulto”, alla Prodi.


L’ottantottenne Domenico Fisichella, che aiutò una trentina d’anni fa il Movimento Sociale di Fini ad uscire dalla sua ridotta per l’avventura di Alleanza Nazionale, ha appena sfoderato intellettualmente e politicamente per i conservatori rappresentati a livello internazionale dalla Meloni una definizione che potrebbe far sentire a casa loro molti veterani della Dc e discendenti. “Il conservatore -ha spiegato o garantito Fisichella lasciandosi intervistare dal Giornale fra i suoi libri- è un riformatore, vuole l’innovazione e lo sviluppo con costi accettabili e profitti durevoli”.


Pur privo forse di una biblioteca alle spalle come quella di Fisichella, ma ancora capace di maneggiare parole e simboli in quello che Berlusconi chiamava “teatrino politico”, si è fatto sentireanche Gianfranco Fini, stavolta sul Foglio, per dire che al punto in cui sono ormai arrivate evoluzioni, cose e quant’altro, si può anche “discutere” della rinuncia della destra alla “fiamma”. Che lui volle preservare pur uscendo “per sempre dalla casa del padre” e ancora si presta a tante paure, polemiche e strumentalizzazioni. L’altro Gianfranco, il già citato Rotondi che continua a stampare tessere della Dc, avrà rischiato l’esplosione del petto gonfiandolo di soddisfazione o speranza, o entrambe.
Pubblicato sul Dubbio
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