L’ispirazione kennediana del messaggio di Mattarella agli italiani

L’ho visto e ascoltato. Incredulo di non avere mai udito citare l’Europa nel discorso di fine anno, evidentemente non abbastanza concentrato, sono andato sul sito del Quirinale e l’ho letto e riletto. E mi sono rasserenato.

Dell’Europa il presidente della Repubblica ha parlato in un solo ma significativo passaggio del suo discorso, a proposito della guerra in Ucraina che si combatte da quasi due anni “nel cuore” appunto del vecchio continente. Come per dire scandalosamente: a casa nostra.

 Già in questa concezione simbiotica dell’Europa c’è tutto il vecchio, consolidato, rinfrancante europeismo di Mattarella. Altro che il sovranismo duro a morire anche in chi mostra ogni tanto di esserselo buttato alle spalle con l’acquisita esperienza di governo. Non parliamo poi del sovranismo ancora praticato o dichiarato orgogliosamente da altri: non solo nell’Ungheria di Orban ma anche in Italia, dove è di pochi giorni fa lo spettacolo a dir poco paradossale di una maggioranza partecipe, sia pure in vario modo, fra voto contrario e astensione, della mancata ratifica del trattato del Mes, o fondo salva-Stati. E in parte dissidente dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nella valutazione positiva del nuovo patto europeo di stabilità, con regole, parametri e quant’altro meno rigide o “stupide” di quanto a suo tempo le avesse definite l’insospettabile Romano Prodi, che presiedeva la Commissione esecutiva di Bruxelles.

Qualcuno forse si aspettava, o addirittura aveva auspicato, che Mattarella cogliesse l’occasione del messaggio televisivo di fine anno a reti unificate per lamentare o solo alludere a questo controverso passaggio di politica interna, magari cercando di metterci una pezza come altre volte gli è capitato di fare dal Quirinale per superare equivoci o ricomporre fratture. Stavolta invece il presidente della Repubblica ha voluto astenersi, non so francamente se per avere considerato esagerate le polemiche trasversali alla maggioranza e alle opposizioni o per non invadere il terreno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Che potrà parlarne, spontaneamente o in risposta a qualche domanda, nella conferenza stampa di ormai ex fine anno, rinviata per le sue note ragioni di salute, fisica davvero e non politica.

D’altronde, oppresso dalle guerre che ci circondano e dalla violenza che le anima,  ed ha finito per diventare “cultura” anche nella nostra società, questo messaggio augurale di Mattarella è stato -per quanto ricordi- il più distaccato dalle vicende, e tanto meno beghe della politica interna. Il Presidente ha volato più alto del solito, di stampo quasi kennediano quando ha chiesto, per esempio, maggiore “partecipazione attiva alla vita civile”. Come se avesse voluto ripetere con l’indimenticabile Jhon Fitzgerald Kennedy, appunto: “Non chiedete che cosa può fare il vostro paese per voi, ma cosa potete fare voi per il vostro paese”.

“Partecipazione attiva” -è tornato ad ammonire Mattarella pensando al galoppante astensionismo- “a partire dall’esercizio del diritto di voto per definire la strada da percorrere”. Un “voto libero -ha insistito- che decide”. E che quindi non può esaurirsi nel “rispondere a un sondaggio, o stare sui social”.

Anche a costo di sembrarvi troppo malizioso e di finire fra quelli che ho sempre criticato per la mania di tirare la giacca al presidente di turno della Repubblica, quel richiamo al “voto libero che decide” davvero, senza rendere la politica prigioniera del sondaggismo cresciuto a dismisura nella cosiddetta seconda Repubblica, ma anche prima, sino ad alimentare e determinare la famosa “discesa in campo politico” di Silvio Berlusconi mentre la magistratura decapitava i partiti tradizionali, o scavava loro la fossa; quel “voto libero che decide” davvero -dicevo- potrebbe essere incoraggiato dal pur tanto criticato o disprezzato premierato. Che è stato proposto dal governo con una riforma costituzionale finalizzata all’elezione diretta del presidente del Consiglio. Con quel voto si potrà anche disporre l’assegnazione della guida del governo, senza necessariamente ridurre le funzioni del Capo dello Stato -come temono anche fior di costituzionalisti in parrucca o aspiranti riserve della Repubblica- a quelle di un notato o di un soprammobile.

Pubblicato sul Dubbio

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