

Per quanto giovane con i suoi 43 anni – tutti trascorsi nella Lega dai 16 in su, essendovi entrato con i calzoni forse ancora corti- il presidente della Camera Lorenzo Fontana sembrava appartenere anche fisionomicamente a quel mondo democristiano, comprensivo del capo dello Stato Sergio Mattarella accorso all’ appuntamento, che si è raccolto mercoledì sera 22 novembre nell’aula dei gruppi di Montecitorio. Dove è stato commemorato in un convegno Arnaldo Forlani a più di quattro mesi dalla morte.
Pure nel suo intervento di saluto, come già aveva fatto il 25 luglio ricordandolo in aula prima di chiedere all’assemblea un minuto di riverente silenzio, il presidente della Camera ha tessuto gli elogi di Forlani meglio e più di un reduce della Dc rimastogli sempre fedele. Come, ad esempio, il presidente emerito della Camera Pierferdinando Casini, ora senatore quasi a vita ospite delle liste del Pd nelle elezioni, che naturalmente è intervenuto anche come uno dei promotori del raduno.

E pensare che se la pur lunga e densissima carriera politica di Forlani, due volte segretario della Dc, ministro delle allora Partecipazioni Statali, della Difesa e degli Esteri e presidente del Consiglio, rimase incompiuta per la mancata elezione nel 1992 al Quirinale, ciò avvenne anche per responsabilità della Lega. Che con la sua ottantina di parlamentari, fra deputati e senatori, avrebbe potuto supplire ai 29 voti mancati a Forlani nel secondo e ultimo scrutinio della sua sfortuna corsa. Ne avrebbe anzi permesso l’elezione già al primo.
Non appena si profilò la possibilità che qualche leghista appena mandato alle Camere da gente abituata in precedenza a mettere la croce sullo scudo crociato nelle cabine elettorali potesse votare a scrutinio segreto per il candidato appunto della Dc, Umberto Bossi precettò i gruppi del Carroccio a presidio della candidatura superleghista di bandiera di Gianfranco Miglio.

Dalla seconda alla sedicesima e ultima votazione di quell’elezione presidenziale Miglio fece il pieno dei voti dei parlamentari leghisti presenti, pronto -dicevano i retroscenisti, forse non a torto- a ritirare la propria candidatura solo se dalla Dc fosse uscita la candidatura di Giulio Andreotti. Che rimase invece al palo anche come candidato “istituzionale”, per la sua carica di presidente del Consiglio, dopo il trauma politico subìto dal Parlamento per la strage mafiosa di Capaci. Dove avevano perso la vita il 23 maggio Giovanni Falcone, la moglie e quasi tutti gli uomini della scorta.

La scelta allora si restrinse fra i presidenti delle Camere Giovanni Spadolini e Oscar Luigi Scalfaro: quest’ultimo preferito all’altro dai socialisti, che se ne sarebbero poi pentiti, e dai post-comunisti del Pds. Che liberando la presidenza di Montecitorio avrebbero potuto mandarvi Giorgio Napolitano. E Lorenzo Fontana? Aveva allora solo 12 anni, beato lui. E Forlani? Silenzioso al suo posto di penultimo segretario della Dc, già pronto a passare la mano a quello che ne sarebbe stato il liquidatore: Mino Martinazzoli.
Pubblicato dal Dubbio
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