Il salto di Forza Italia nell’avventura di un partito contendibile

Come per avvertire la premier Giorgia Meloni, pur sua ex collega nella destra missina e post-missina, a non provarci più a escludere il vice presidente del Consiglio Antonio Tajani dalla regia di comando quando si decidono cose importanti come una tassa speciale sulle banche, il vice presidente forzista del Senato Maurizio Gasparri ha recentemente detto che in altri tempi si sarebbe verificata una crisi di governo “un minuto dopo” l’’incidente. Altro che consentire al premier di turno di confermare l’accaduto, di vantarsene e di spiegarne le ragioni con la necessità della riservatezza in certe circostanze.

         Intervistato invece dal Giornale ancora in parte della famiglia Berlusconi sui rapporti con la Meloni premier e capa del partito maggiore della coalizione di governo, sia pure parlando d’altro come l’affare librario e politico ormai del generale Roberto Vannacci, il presidente -sempre forzista- della regione Sicilia Renato Schifani ha detto: “La leadership di Giorgia Meloni è salda. Lei sa mediare molto bene tra la propria convinzione politica e le esigenze di Stato. Seppur giovane, è completa e brilla anche a livello internazionale. Da lei mi sento pienamente rappresentato sia come cittadino che come presidente della Regione Sicilia”. E anche da maggiorente, debbo presumere, di Forza Italia, dove il compianto Silvio Berlusconi peraltro gli permise come a pochi  altri -se non l’unico- di uscire e rientrare senza danni in occasione della scissione promossa da Angelino Alfano all’epoca del primo e unico governo di Enrico Letta. 

         Nella stessa intervista al Giornale, concessa facendo uno strappo alle sue ritardate vacanze in montagna, Schifani ha tuttavia riservato ancora altre e forse maggiori sorprese a Tajani, pur confermandogli con largo anticipo rispetto al congresso nazionale convocato per la fine di febbraio il suo voto per la conferma alla segreteria. Qualcosa di più sottile della ricerca di altri candidati, e il sollecito di un regolamento per consentirne la corsa, in cui è dichiaratamente impegnato il vice presidente della Camera Giorgio Mulè, peraltro siciliano come Schifani.

         In particolare, il presidente della Sicilia ha chiesto a Tajani, pur non parlandone come di una condizione per il suo voto apparentemente scontato di conferma alla segreteria, una trasformazione del partito alquanto difficile dopo il lunghissimo regno del fondatore. All’ombra del quale tutti si erano più o meno abituati a muoversi, a fare le loro scalate, a rinunciarvi, cambiare obiettivi e via dicendo. Da partito “del leader”, cioè personale, o personalissimo, come preferite, Forza Italia dovrebbe diventare partito “corale”, “plurale” e altre definizioni da venire che fanno pensare più ad una riedizione della Democrazia Cristiana, da cui Schifani non a caso proviene, che al “Partito Repubblicano” di ispirazione americana. Del quale il presidente siciliano ha parlato nell’intervista evocando le volte in cui aveva conversato con lui Berlusconi in persona. Che, a dire il vero, per quanto mi risulta anche personalmente e direttamente, a tutto era disposto a pensare e ad aprire fuorchè a un partito di correnti.

Eppure proprio le correnti mi sembrano imprescindibili, per ragioni realistiche, da un movimento corale, plurale e simili. Neppure i comunisti con la loro formula del “centralismo democratico”, sfociato anche nella espulsione dei compagni del Manifesto quando provarono ad organizzarsi, riuscirono alla fine ad evitare un certo correntismo, come raccontò in vita con dovizia di particolari e orgoglio il vecchio Emanuele Macaluso. E come può ancora testimoniare il suo compagno d’area cosiddetta migliorista e presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano.

         Ciò che Schifani, coriaceo nella sua terra sino a neutralizzare l’ex potentissimo Gianfranco Miccichè, ha chiesto a Tajani non è quindi una cosa semplice. Tutt’altro. E’ una cosa, correlata peraltro ai rapporti quanto meno atipici tra Forza Italia e la famiglia del suo fondatore, di una complicazione estrema. E’, in parole povere, la contendibilità continua della guida del partito, al di là delle scadenze congressuali cui peraltro nessuno da quelle parti è stato mai abituato.

         Proprio su queste condizioni di prevedibile difficoltà, a dir poco, i concorrenti politici ed elettorali del partito post-berlusconiano, interni o esterni che siano alla coalizione di governo, puntano per ricavare qualche vantaggio e spazio. Il più audace, lesto e visibile nelle incursioni e simili è naturalmente Matteo Renzi, del quale anche Schifani ha parlato nella sua intervista cercando di minimizzarne le potenzialità e amplificarne le obiettive ambiguità. Ma non vanno sottovalutate le capacità attrattive anche della premier Meloni e del vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini. La partita è francamente tutta da giocare. E potrebbe riservare grandi sorprese, forse anche per le opposizioni, se non soprattutto per esse. Berlusconi osserverà da lassù, i suoi familiari e i suoi elettori sino a giugno scorso da quaggiù.

Pubblicato sul Dubbio

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