La grande paura per Papa Francesco ricoverato da ieri al Gemelli

“La grande paura” che non si può non condividere con La Stampa, che le ha dedicato il titolo di apertura di prima pagina, non è naturalmente da ieri quella augurata a Giorgia Meloni dagli avversari di “non riuscire più a nascondere i suoi errori”, come ha gridato Domani, il nuovo giornale di Carlo De Benedetti, con lo stesso compiacimento dell’ex quotidiano dell’ingegnere, La Repubblica. Secondo il quale “la realtà rovina lo spettacolo” della presidente del Consiglio impegnata a distrarre gli italiani, come una prestigiatrice, con “lo spauracchio dei migranti dal Nordafrica”, finalizzato a nascondere, fra l’altro, i ritardi sulla strada del piano di ripresa e il rischio di perdere la nuova rata di finanziamento europeo. 

No. “La grande paura” in queste ore è per la salute del Papa scelto dieci anni fa dai “fratelli cardinali”, come lui stesso disse affacciandosi alla loggia della Basilica di San Pietro, “alla fine del mondo”, provenendo dall’Argentina, per succedere al dimissionario Benedetto XVI. All’età che ha, con  i problemi di salute accumulati e per niente nascosti, fra inviti a pregare per lui e la possibilità non esclusa di potere anch’egli lasciare anzitempo il trono di San Pietro in caso di sostanziale impedimento, Papa Francesco ci ha dato motivo di temere dopo il ricovero al Policlinico Gemelli e la comunicazione ufficiale dell’infezione delle vie respiratorie e degli scompensi cardiaci pur sotto controllo, come hanno assicurato i sanitari. 

“Forza Francesco!”, viene voglia di gridare con Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, pensando anche al ruolo che forse solo lui, più dei presidenti americano e cinese, turco o d’altro Paese ancora, e della nostra sempre un pò zoppicante Unione Europea, può ancora svolgere per porre termine alla guerra che più da vicino ci minaccia tutti: quella in Ucraina inopinatamente scatenata da Putin per “denazificare”, pensate un pò, il paese vicino. Una guerra che ha messo a dura prova il cuore di un Pontefice che sarà stato pure pescato dai suoi “fratelli cardinali alla fine del mondo”, ripeto, ma nelle cui vene scorre sangue di origine europea e, più in particolare, italiana. “Forza Francesco”, ripetiamo insieme.  

Ripreso da http://www.startmag.it

Sui terroristi rossi italiani salvati dalla Francia la reazione migliore è stata di Gian Carlo Caselli

Scusatemi se la metto quasi sul piano personale, ma lasciatemi scrivere che nel graziare, praticamente, i dieci terroristi rossi italiani che per un pò hanno rischiato, sulla carta, di essere estradati in Italia per espiare le condanne procuratesi negli anni di piombo la Cassazione francese ha compiuto il miracolo di farmi risentire quasi del tutto in sintonia con Gian Carlo Caselli. Col quale avevo perso il conto delle polemiche avute, in modo diretto e indiretto, nella mia non breve attività professionale, specie per l’ostinazione da lui avuta contro Giulio Andreotti, anche da morto, sostenendone la collusione con la mafia. Che, a mio modestissimo parere, se vi fu per i rapporti personali o di corrente politica, nella Dc, con esponenti di Cosa Nostra o parti di essa, fu quanto meno comune a tutti -dico tutti, anche quelli che si rivolteranno nella tomba- i presidenti del Consiglio o capicorrente che lo precedettero. O addirittura gli sono succeduti. Non si può letteralmente immaginare in Sicilia, forse ancora oggi, un uomo di potere o d’affari non destinato quasi dall’aria a vivere più o meno consapevolmente sul confine tra mafia e antimafia.  

Essersela presa solo con Andreotti, a dispetto dei provvedimenti peraltro presi dal suo ultimo governo contro la mafia e osteggiati in Parlamento dall’opposizione enfaticamente antimafiosa; essersela presa, dicevo, solo con Andreotti distinguendo quasi con la precisone di un orologio svizzero il prima e il dopo dell’assoluzione ottenuta nel processo intentatogli proprio dalla Procura di Palermo retta da Caselli, mi è sempre sembrato discutibile. Si può dire almeno questo? 

Ebbene, di fronte all’”arroganza francese” lamentata da Caselli sulla prima pagina della Stampa di ieri scrivendo della magistratura d’oltr’Alpe alle prese con i dieci terroristi rossi italiani alla fine -ripeto- praticamente graziati, mi sono idealmente levato giù il cappello. Mi sono anche riconosciuto nell’ironia da lui riservata alla “grandeur” dei suoi e nostri cugini, e nel sarcasmo di quel finale in cui ha contrapposto la ”premurosa e zelante assistenza” fornita ai dieci terroristi -che non posso chiamare ex per lo stesso motivo per il quale non posso chiamare ex le loro vittime- al trattamento che viene riservato ai “poveracci extracomunitari che cercano di oltrepassare la frontiera italo-francese per sfuggire alla fame e alla persecuzione”. Non avrei saputo e non saprei scrivere meglio. 

Ancor più efficacemente di altri magistrati dei quali mi è capitato di condividere interviste e articoli sui processi degli anni di piombo Caselli ha ricordato che nella sua Torino “i capi storici delle Brigate Rosse” ottennero un tale “riconoscimento della  loro identità politica” da essere “ammessi persino a contro-interrogare personalmente le vittime….ancora vive”. Altro, quindi, che abusi e quant’altro lamentati dagli imputati, latitanti e non, e condivisi più o meno esplicitamente dai loro protettori francesi in toga o in cattedra. 

Bravissimo, ripeto, Caselli per la “grandeur a corrente alternata” denunciata sulla Stampa. Dove questa volta egli ha trovato più ospitalità e visibilità dell’altro giornale al quale collabora spesso: Il Fatto Quotidiano, astenutosi ieri  -chissà perché- dal portare in prima pagina l’affare dei dieci terroristi rossi messi al sicuro in Francia dal rischio di estradizione, salvo ricorsi di qualche familiare delle vittime alla Corte Europea, con effetti tuttavia tutti da verificare. L’unica cosa dalla quale dissento nel leggere e rileggere l’articolo di Caselli è un “anche” infilato nel penultimo capoverso, dove egli ha scritto, con la solita puntigliosità, che “il nostro sistema giudiziario ha sempre rispettato i diritti degli imputati anche”, appunto, “nei processi per terrorismo”. Ma convengo, per carità, e nella speranza che il buon Caselli non se la prenda, che non si può avere tutto dalla vita. Bisogna pur accontentarsi. 

Pubblicato sul Dubbio

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