La difesa bipartisan di Mattarella dagli attacchi per russofobia

         Quel Mattarella messo a Mosca nella lista dei russofobi per le posizioni sempre espresse a favore dell’Ucraina, aggredita  tre anni e mezzo  fa con una cosiddetta operazione speciale che perdura sino a spazientire il presidente americano ben disposto verso Putin, ha prodotto un miracolo nella politica italiana. Oltre alla convocaziome dell’ambasciatore di Mosca alla Farnesina.

         Da entrambi gli schieramenti, di governo -pur nel silenzio del vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini escluso dalla lista, diversamente dai ministri Tajani e Crosetto-  e di opposizione sparsa nel campo largo di fantasia bettiniana, da Goffredo Bettini del Pd; da entrambi gli schieramenti, dicevo, si sono levate voci in difesa del presidente della Repubblica. Che dal canto suo ha profittato dell’incontro con la stampa parlamentare, che gli ha donato il tradizionale ventaglio, per ribadire la concezione che ha non dei russi ma del suo governo dispotico: “un macigno” per l’Europa. Che ha il sacrosanto diritto di sentirsi minacciata e di proteggersi dalla “angosciosa postura aggressiva del Cremlino.  

         Purtroppo è ormai avvertibile, come un macigno -per i morti e gli affamati di Gaza e per la guerra che sta perdendo sul fronte mediatico, l’ottavo di quelli sui quali combatte- anche l’Israele di Nethanyau in Medio Oriente, e oltre.  E Mattarella non si è certamente risparmiato nelle parole di biasimo per “l’ostinazione a uccidere”. Parole alle quali la premier Giorgia Meloni ha fatto seguire una telefonata all’omologo di Gerusalemme per chiedere, anzi per tornare a chiedere la fine di quello che è ormai diventato uno scempio, pur provocato dal podrom del 7 ottobre di due anni fa. Quando i terroristi di Hamas sconfinarono in Israele da una terra di palestinesi – Gaza, appunto- sotto le cui case, scuole, ospedali, chiese, mercati, piazze e strade essi hanno costruito un gigantesco arsenale antisemita con i finanziamenti ricevuti per migliorare la vita della popolazione. Che è quindi ostaggio di quelli che dicono di volerla difendere e rappresentare. Una oscenità sanguinaria, a dir poco.

Lo spartito di “mani pulite” nei ricordi del nipote musicista di Borrelli

Delle mani pulite milanesi di più di trent’anni fa, evocate in questi giorni, a torto o a ragione, per la Cementopoli sempre di Milano o l’Affidopoli di Pesaro e altro, non si riesce mai a saperne abbastanza. L’ultimo o penultimo inedito è del grande musicista Alessio Vlad, figlio dell’ancor più famoso Roman e nipote -come ho scoperto leggendone una lunga intervista autobiografica al Corriere della Sera– di Francesco Saverio Borrelli. Che fu il capo della Procura ambrosiana sotto la cui metaforica ghigliottina finirono partiti e leader, prevalentemente di governo, della cosiddetta prima Repubblica. Un magistrato appassionato anche di musica, immancabile alle prime della Scala, sempre a Milano, e di equitazione.

         Nipote di Borrelli per via di sua moglie, Alessio ha raccontato che lo zio apprezzava del suo sostituto Antonio Di Pietro “il merito di introdurre l’uso dell’informatica nelle indagini”, anche quelle sul finanziamento illegale dei partiti e, più in generale, della politica. Ma non di più, in particolare non ne condivideva “metodo di sbattere in galera gli indagati”, che infatti furono tanti. Alcuni dei quali si uccisero pur di non finire in galera, o dopo esservi finiti senza essere stati ancora rinviati a giudizio.

         Eppure forse per la popolarità di Di Pietro proiettata sulle indagini, o chissà per cos’altro, Borrelli -ha raccontato il nipote- “non fece nulla per limitare quel modo di fare” del suo sostituto. E produsse, volente o nolente, contrasti anche in famiglia “perché -ha raccontato ancora Alessio Vlad- mio padre con Paolo Grassi e Strehler era legato al partito socialista finito nel mirino del pool” di mani pulite. Un partito peraltro di cui alcuni esponenti, a cominciare dal sindaco di Milano Paolo Pillitteri e dell’architetto Claudio Dini, presidente della Metropolitana ambrosiana, erano stati amici personali e conviviali dello stesso Di Pietro prima di diventarne indagati e imputati.

Pubblicato sul Dubbio

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