Dell’Europa intesa come Unione, con la sua Commissione presieduta a Bruxelles da Ursula von der Leyen, si vorrebbe poter dire, come Galileo Galilei della terra dopo essere stato costretto ad abiurare la sua opposta teoria, che “pur si muove”. Nonostante la mazzata datale dal presidente americano con i dazi nominalmente al 15 per cento rispetto al 30 annunciato o minacciato. Su cui si è aperta in Italia, ma anche altrove, una furiosa polemica relativa alla loro “sostenibilità”.
Il confronto, chiamiamolo così, è difficile anche perché i documenti americani e quelli europei, pur scritti entrambi in inglese, non sembrano combaciare. Manca del resto, e forse non a caso, una fotografia che ne documenti la firma, nonostante la mania di Trump di esibire la sua, fatta a torri come quelle che ha costruito o possiede. Esistono solo le immagini della stretta di mano fra lui e la sua ospite in terra peraltro scozzese.
Di solito i numeri, in percentuale o assoluti, sono sinonimi di certezza. Ma, appunto, di solito. Non sempre. Questi della partita dei dazi americani sui prodotti europei esportati negli Stati Uniti costituiscono una delle eccezioni. Ma ormai entrambe le parti ne sono in qualche modo prigionieri perché l’alternativa sarebbe forse peggiore della pur scomoda realtà: una confusione ancora più grave di una guerra commerciale per chi produce non parole ma beni da esportare, su cui preferibilmente guadagnare e procurare lavoro.
Nella pratica dell’ottimismo della volontà preferibile al pessimismo della ragione, contrapposti dalla buonanima di Antonio Gramsci, mi attacco oggi alla lettura della partita dei dazi fatta da parte del direttore Claudio Cerasa sul Foglio. Ben diversa da quella di ieri di Maurizio Belpietro sfociata sulla sua Verità nella rappresentazione dell’Europa come una “ciofeca”.
Pur con un “forse” forte come una frenata, Cerasa si e data una risposta positiva alla domanda se “le bastonate di Trump all’Ue possono produrre effetti positivi in Europa”, una volta depositate le polveri delle polemiche. Il bicchiere mezzo pieno è sempre migliore di quello tutto vuoto, ma anche mezzo vuoto. In fondo, si è consolato a torto o a ragione Cerasa, in 7 mesi l’euro ha guadagnato l’8 per cento sul dollaro. Non ditelo, per favore, a Trump.