Goffredo Bettini scende dalle stelle fuori stagione per soccorrere l’amico Matteo Ricci

         Goffredo Bettini, già spintosi nel Pd a sostenere le carriere separate dei giudici e degli inquirenti perché dichiaratamente abituato dal compianto padre avvocato a diffidare di un potere giudiziario troppo forte, senza gli opportuni bilanciamenti nel rapporto anche con l’imputato all’interno del processo, ha compiuto un altro passo avanti sul terreno della giustizia e delle sue ricadute politiche.

         Il guru del Pd, quale Bettini viene considerato da tempo, ha preso la penna non per una dedica -come nella foto- di un suo libro a Matteo Ricci, amico e compagno di partito in tutte le edizioni del suo percorso, ma per il lancio di una proposta di solidarietà con l’ex sindaco di Pesaro e candidato alla presidenza della regione Marche. Che ha avuto notoriamente l’inconveniente di avere ricevuto l’avviso di cosiddetta garanzia proprio all’avvio delle procedure delle elezioni regionali, entrando nell’avventura di Affidopoli, come l’’inchiesta è stata mediaticamente chiamata.

         Compiaciuto della solidarietà e fiducia confermate all’amico Ricci dalla segretaria nazionale del partito Elly Schlein, e della modica reazione, diciamo così, del Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che non ha ancora ritirato l’appoggio annunciato alla corsa regionale dell’europarlamentare ed ex sindaco di Pesaro, chiedendo solo “le carte” per valutarle, Bettini ha proposto un accordo generale fra tutti gli schieramenti che si contendono di volta in volta il governo del Paese. Sarebbe quello di reagire francescanamente, diciamo così, a tutte le disavventure giudiziarie che dovessero continuare ad avere candidati, amministratori, parlamentari, cioè prendendone atto senza anticipare in alcun modo l’esito del percorso. Rispettando cioè alla lettera la presunzione di innocenza del resto messa in Costituzione, e sistematicamente ignorata da sempre, e non solo dai trent’anni e più che ci separano da Tangentopoli, mani pulite e via chiamando di volta in volta le inchieste a cronaca mista, giudiziaria e politica.

         Bella idea, bella proposta, per quanto un po’ tardiva, e formulata curiosamente in coincidenza coi problemi difficili maturati a sinistra con la magistratura. Bettini è sceso dalle stelle fuori stagione, diciamo così. Ma sarebbe bello lo stesso se Schlein e Meloni, Conte e Salvini, già abituati del resto a convivere in un governo, Tajani e Fratoianni, che fanno pure rima, Lupo e Bonelli, si incontrassero e sottoscrivessero l’intesa, il manifesto e quant’altro proposto oggi, via facebook, da Bettini. Affidandogli magari un ruolo di garante, assumendolo come un proboviro interpartitico. Un colpo di sole in estate sarebbe del resto naturale.  

Ripreso da http://www.startmag.it il 27 luglio

I presunti messaggi riservati di Franceschini ai magistrati che disturbano

         In un articolo misto di cronaca, retroscena, analisi e immaginazione Francesco Verderami sul Corriere della Sera ha visto e indicato nel discorso “pubblico” pronunciato al Senato conrto la riforma costituzionale della giustizia un “messaggio riservato” ai magistrati molto, forse troppo attivi in questo periodo ai danni della sinistra che amministra a livello locale e aspira all’alternativa al centrodestra a livello nazionale.

Un messaggio “riservato” in un discorso pubblico è un ossimoro, cioè una contraddizione in termini, come scrivere di un silenzio assordante. Ma di ossimori, si sa, è pieno il linguaggio politico. E anche quello letterario calzante con Franceschini scrittore di romanzi, oltre che regista nel Pd di tutte le maggioranze che si creano, si trasformano e si alternano. Un uomo insomma fatto apposta per messaggi riservati in discorso pubblico, ripeto adottando parole e immagini del retroscenista del Corriere.

         Il messaggio ai magistrati sarebbe quello di potersi fidare, a dispetto dei dissensi emersi in qualche settore del Pd, della mobilitazione del partito del Nazareno nella “battaglia referendaria tutta politica” per la bocciatura della riforma della giustizia che ha appena superato al Senato il secondo degli almeno quattro passaggi parlamentari necessari. Una riforma notoriamente indigesta alle toghe, almeno quelle associate e più attive, per la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministri, lo sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura  con un misto di elezione e di sorteggio, il conseguente colpo al gioco delle correnti e l’Alta Corte alla quale sottomettere, in modo non più “domestico”, i procedimenti sui magistrati.

         Nel suo “messaggio riservato” alle toghe, ma anche nell’incontro segreto con un “alto” magistrato non meglio definito, Franceschini avrebbe anticipato i timori che già avvertirebbe la premier Giorgia Meloni per ciò che lo stesso Franceschini starebbe organizzando nella conduzione del referendum sulla riforma della giustizia. Che la prenier, in particolare, dietro l’apparente accelerazione parlamentare avrebbe deciso o sarebbe tentata di ritardare per fare svolgere il relativo referendum dopo e non prima delle elezioni del 2027. Come, d’altronde, le è già stato attribuito per il referendum sul premierato.

         A conclusione del suo racconto da scoop Verderami si cautela da ogni smentiva scrivendo dell’”abilità” e della “prudenza” di Franceschini, “pronto a smentire”, appunto, “perché non può consentire che emerga ciò che davvero pensa, riservatamente dice”, ma soprattutto fa. L’invito, insomma,  ai magistrati e ai lettori, più in generale, è a fidarsi più di lui, Verderami, che del tenebroso senatore e regolo del Pd.  O del capogruppo del Pd al Senato Francesco Boccia, fedelissimo della segreteria del partito Elly Schlein.

Ripreso da http://www.startmag.it

Il compiacimento masochista della sinistra per l’assalto delle toghe al governo

A pensarci bene, neppure ai tempi di Tangentopoli  –quando tutto in fondo cominciò, ma con la mobilitazione di piazza stavolta mancata, almeno sinora, magari solo perché il Paese è disturbato dal caldo o dall’acqua dove cade troppo in abbondanza- si verificò lo sconquasso istituzionale di questi giorni. Come merita di esse considerato l’assalto combinato dei magistrati, associati nel loro sindacato o “tutelati” nell’omonimo Consiglio Superiore. Dove il ministro della Giustizia, peraltro ex magistrato, ma forse anche o soprattutto per questo, è finito praticamente sotto processo per avere osato contestare le critiche mossegli da un sostituto procuratore della Cassazione senza alcun rispetto per le competenze del tribunale dei ministri. Che se ne sta occupando.

         Eppure allora, più di 30 anni fa,  nonostante i ricordi, ripensamenti e quant’altro di Antonio Di Pietro tornato alla sua terra, in ogni senso, le inchieste sul finanziamento illegale dei partiti e, più in generale, della politica investirono il sistema. Come Craxi sfidò gli inquirenti e i partiti che li sostenevano a riconoscere sino in fondo, riducendo tutta la politica, il sistema appunto, ad un’associazione a delinquere che non avevano avuto invece il coraggio di contestare. Ad un “sistema criminale”, disse il leader socialista nell’aula di Montecitorio, ormai agli sgoccioli di una carriera che lo aveva portato per quattro anni, fra il 1983 e il 1987, alla guida del governo. Dove peraltro egli sarebbe tornato nel 1992 , con la sua alleanza con la Dc, se non fosse stato investito giudiziariamente, sino a dovere evitare l’arresto rifugiandosi nella sua casa estiva di Hammamet.

         Neppure in quei giorni, ripeto, di confusione e di eccitamento all’odio, con i giornali che avevano assunto le manette come logo delle pagine interne dedicate alle cronache giudiziarie e politiche, si arrivò ad un assalto per quanto metaforico al governo. O ai governi, per includere quelli che seguirono all’ultimo di Giulio Andreotti. E pensare che a presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura era l’ex magistrato, pure lui come Nordio, che si vantava di sentirsi ancora addosso la toga: Oscar Luigi Scalfaro. Il quale reclamava le dimissioni dei ministri indagati minacciando lo scioglimento delle Camere.  

         Il multiforme “campo largo” della improbabile alternativa al centrodestra di Giorgia Meloni, per quanto investito esso stesso dalle Cementopoli, Affidopoli e varie che troneggiano sulle prime pagine dei giornali, sta assistendo a questo spettacolo – l’assalto al governo come al Palazzo d’Inverno- con un compiacimento più da intossicati che da lucidi. Non si rendono conto, lorsignori, come li chiamerebbe Fortebraccio se il mio amico Piero Sansonetti potesse disporne nella Unità riportata nelle edicole con un editore di destra, che se dovessero mai riuscire a vincere le elezioni politiche e tornare a Palazzo Chigi, si potrebbero trovare nelle stesse condizioni odierne della Meloni. Vi si troverebbero sia con la segretaria del Pd Elly Schlein, ancora più giovane della Meloni, sia con Giuseppe Conte, che sogna di notte e di giorno il posto perduto nel 2021.

 Conte, magari, potrà pensare in cuor suo di non correre rischi, o di correrne di meno, essendo riuscito a strappare al Pd, e alle edizioni precedenti, la posizione di maggiore fiancheggiamento della magistratura. Dalla quale sta anche ricavando in questi giorni un aumento della sua capacità contrattuale nel cosiddetto campo largo. L’ha subito spesa nelle Marche chiedendo “le carte” dell’ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci, indagato in coincidenza con l’avvio delle procedure per le elezioni regionali alle quali egli è candidato della sinistra alla presidenza.

Ma la ruota gira, caro Conte zio di manzoniana memoria. E quella della magistratura ormai è imprevedibile, tanto è diventato grande il suo potere grazie alle debolezze e alle paure sulle quali essa ha potuto contare di volta in volta dal lontano 1992.

Pubblicato su Lbero

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