Continua a Milano la spasmodica attesa delle manette per Cementopoli

         Ha fatto notizia sulla prima pagina di Repubblica -l’unica fra quelle selezionate quotidianamente dalle rassegne parlamentari della stampa- l’ostinazione, probabilmente anche condivisa nell’intimo giustizialista, con la quale i pubblici ministeri di Milano hanno ribadito la richiesta di arrestare gli indagati sull’urbanistica ambrosiana, anche dopo gli interrogatori di garanzia eseguiti dal giudice competente.

         L’indagine milanese, che intanto ha provocato le dimissioni dell’assessore comunale Tancredi e l’entrata della giunta di Beppe Sala in una cosiddetta “fase due”, dai caratteri correttivi richiesti dal partito principale della maggioranza, che è il Pd, ha forse trovato un suo nuovo nome mediatico. Glielo ha applicato lo storico settimanale Espresso, che ha gridato in copertina Cementopoli. Avrà probabilmente più fortuna di altri ispirati sempre alla madre, diciamo così, di tutte le vicende giudiziarie di questo tipo che fu chiamata Tangentopoli nel 1992. Un nome che smentisce da solo il tentativo compiuto in questi giorni da Antonio Di Pietro, fra i protagonisti giudiziari di quell’anno, di distinguere le sue famose “mani pulite”, che avrebbero riguardato solo i reati e i loro responsabili, da quelle in corso ora a Milano, che sembrano perseguire, colpire e quant’altro “un fenomeno”.  Col rischio conseguente di bloccare lo sviluppo di una metropoli e di interferire con la politica dalle cui scelte esso deve dipendere.  Non dalla preferenza del modello che Di Pietro ha ironicamente, anzi sarcasticamente indicato nel “geometra di Canicattì”.

Il ministro della Giustizia processato dal Consiglio Superiore della Magistratura

Il “fuoco” ripetuto dell’associazione nazionale dei magistrati non è bastato. Si è aggiunto il Consiglio Superiore della Magistratura. Che con la posizione assunta oggi contro il ministro della Giustizia Carlo Nordio per avere ribattuto alle critiche mossegli dal  sostituto procuratore della Cassazione Raffaele Piccirillo, messo ora sotto “tutela”, ha fatto ciò che nel 1985, su un livello più alto,  gli era stato impedito dal presidente Francesco Cossiga, presidente anche della Repubblica naturalmente.

         Allora nell’obbiettivo del Consiglio Superiore entrò direttamente il presidente del Consiglio Bettino Craxi per avere criticato il trattamento giudiziario troppo lieve, a suo giudizio, riservato ai responsabili dell’assassinio terroristico del giornalista del Corriere della Sera, e suo personale amico, Walter Tobagi, Che era stato ucciso sotto casa come un cane da un gruppetto estremistico che aspirava anche con quella azione ad essere assorbito dalle Brigate rosse. Delle quali il povero Walter, amico anche mio, aveva preso la imprudente abitudine di occuparsi sostenendone la pericolosità -e capacità di fuoco, dimostrata nel 1978 col sequestro di Aldo Moro, lo sterminio della scorta e l’uccisione dell’ostaggio dopo 55 giorni di prigionia- ma anche la possibilità di sconfiggerle.

         Informato non direttamente da lui, suo amico e collega di patito e di corrente democristiana, che il Consiglio Superiore della Magistratura stava per essere convocato per criticare Craxi e mettere praticamente sotto tutela giudici e inquirenti che si erano occupati del delitto Tobagi, il presidente Cossiga chiamò il vice presidente dell’organo di autogoverno della magistratura Giovanni Galloni per controllare l’informazione. A sentirsela confermare il capo dello Stato saltò letteralmente sulla sedia e spiegò all’interlocutore che il presidente del Consiglio risponde delle sue opinioni e della sua azione politica al Parlamento, che lo fiducia o sfiducia, non al Consiglio Superiore della Magistratura. Il capo del governo poteva allora finire pure sotto processo ma alla Corte Costituzionale, e non su iniziativa del Consiglio Superiore. Ora le cose sono cambiate.  Presidente del Consiglio e ministri finiscono all’omonimo tribunale.

         Poiché Galloni mostrava di voler tenere il punto, considerando normale l’ordine del giorno predisposto per il Consiglio del Palazzo dei Marescialli, Cossiga glielo impedì ritirandogli la delega della convocazione dell’organo di autogoverno della magistratura. E lo avvisò con la sua solita franchezza che se il Consiglio fosse stato convocato lo stesso e si fosse riunito allo scopo propostosi avrebbe mandato i Carabinieri, d’altronde già d’abitudine davanti al palazzo a proteggerlo, per impedire un evento per lui eversivo.

         La polemica naturalmente non finì col blocco della convocazione e della seduta. I rapporti fra Cossiga e Galloni non si sarebbero più ricomposti davvero. E Craxi naturalmente ringraziò Cossiga nella sua triplice veste di presidente del Consiglio, di leader politico e di amico personale, come il Guardasigilli Carlo Nordio non ha potuto fare ieri col vice presidente del Consiglio Superiore Fabio Pinelli, che di fatto ha gestito una vicenda tradottasi in un sostanziale processo a lui, Nordio.

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