La nuvola di Fuksas sul palazzo di giustizia di Milano e dintorni

         Agli urticanti giudizi di un esperto giudiziario come Antonio Di Pietro si sono aggiunti sull’inchiesta milanese intestata  ormai ai “grattacieli puliti” quelli di un esperto di urbanistica come l’architetto Massimiliano Fuksas, fra i più fanosi nel mondo. Che con una sua nuvola ha tolto un po’ di sole mediatico al palazzo di giustizia dove opera la Procura che ha messo sotto indagine una settantina di persone, fra le quali il sindaco Beppe Sala, per corruzione e quant’altro. L’assessore all’urbanistica sarebbe stato già arrestato se fosse rimasta invariata la disciplina delle manette in corso di indagini esistente all’epoca delle “mani pulite”, 33 anni fa.

         Fuksas ha ricordato che “in Italia abbiamo 170 mila leggi, in Francia ne hanno 6500, in Germania circa 7000”. “Abbiano più leggi di tutti, e poi abbiano tutti i regolamenti attuativi, e poi i regolamenti attuativi dei regolamenti attuativi, ma il piano regolatore è ancora quello del 1942”, ha continuato Fuksas non per dargli del fascista ma per sottolinearne l’inadeguatezza ai cambiamenti nel frattempo intervenuti.

         Il colpo di grazia all’indagine in corso l’architetto l’ha dato interrompendo l’intervistatrice di Domani convinta che la magistratura milanese abbia “trovato un bandolo” per uscire dalla situazione. “La magistratura è un epifenomeno”, ha reagito Fuksas sapendo bene che esso significa, leggendo il dizionario della lingua italiana, “un fatto accessorio, la cui presenza o assenza non incide sull’esplorazione di un dato fenomeno”. La magistratura -ha spiegato l’architetto- può trovare un reato, ma i buoi sono usciti dalla stalla. “La corsa” agli affari, ai guadagni, alla spersonalizzazione della proprietà edilizia, per cui chi prende in affitto (caro) una casa raramente riesce a conoscerne il padrone, “si sospende per un attimo, si gira la pagina, si guarda da un’altra parte”. “La gente si annoia dei vostri articoli”, ci ha gridato in faccia dalla sua nuvola Fuksas.

Ripreso da http://www.startmag.it

Quell’affaccio fatale di Sala sul campo largo dell’alternativa

Alla voce “sarcasmo” corrisponde comunemente nel dizionario della lingua italiana una “ironia amara o caustica, espressione di insoddisfazione personale o di compiacimento nell’umiliare gli altri”. Vi si è attenuta ieri “la cattiveria” di giornata del Fatto Quotidiano, in prima pagina. Che in una decina di parole e una quarantina di battute tipografiche ha ritenuto -in vista dell’appuntamento del sindaco di Milano Beppe Sala col Consiglio comunale per la politica urbanistica finita sotto inchiesta giudiziaria- di rappresentare così la situazione politica, diciamo così, del primo cittadino ambrosiano: Ultim’ora- Sala sul Campo Largo: ”Sì, se è  edificabile”.

         Il campo largo, non necessariamente con le maiuscole, è quello immaginato filosoficamente e politicamente nel Pd da Goffredo Bettini, ed entrato rapidamente nelle cronache e nei retroscena della politica, come un’alternativa al centrodestra di Giorgia Meloni. Un’alternativa estesa da Matteo Renzi, propostosi su un campo sportivo l’anno scorso all’Aquila passando una palla alla segretaria del Pd Elly Schlein, al Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte e alla sinistra cosiddetta radicale di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni.

         A questo campo ha avuto la disavventura -temo- di affacciarsi anche Beppe Sala, il cui secondo ed ultimo mandato di sindaco di Milano scadrà sulla carta fra meno di due anni, un po’ prima della legislatura e del governo Meloni. Vi si è affacciato Sala con un interesse, una curiosità e quant’altro scambiati da molti, a torto o a ragione, per una disponibilità a concorrervi, magari sistemandosi in qualcuna delle tende proposte dal già citato, immaginifico Bettini ai riformisti, moderati e simili, capaci -se mai vi riuscissero- di proporsi come “federatori”. E persino candidati a Palazzo Chigi, al posto dei due che vi aspirano più palesemente o dichiaratamente, che sono la Schlein, segretaria del partito per ora più votato fra quelli di opposizione, e Conte. I cui sostenitori lo ritengono ancora vittima fra il 2020 e il 2021 di un mezzo complotto per scalzarlo dalla guida del governo a vantaggio di Mario Draghi.

         Sarò malizioso, troppo malizioso, come del resto si vantava la buonanima di Giulio Andreotti confessando di “peccare” e insieme “indovinare”, ma le difficoltà di Sala, inevitabili come sindaco di una città delle dimensioni, delle capacità e persino della simbologia come quelle di Milano, sono cresciute da quel momento del suo affaccio, evidentemente imprudente, sul campo largo dell’alternativa. Un campo che i suoi avversari, critici, concorrenti ed altri vogliono precludergli temendo- come ha insinuato “la cattiveria” del Fatto Quotidiano– che ne voglia fare “un’area edificabile”. Con tutto ciò che l’edificabilità comporta in senso lato e dispregiativo.

         Le dimissioni di Sala da sindaco di Milano sono state reclamate a Roma, fra le proteste della collega del Pd, dal capogruppo al Senato delle 5 Stelle. Delle quali, politicamente parlando, non c’è traccia nel Consiglio Comunale ambrosiano. Ce n’è, navigando per internet, solo per gli “omonimi” alberghi della città. Dimissioni reclamate dal senatore Stefano Patuanelli, per una questione “etica”, ho letto sul Corriere della Sera. Una questione cioè morale, come quella sollevata negli anni Ottanta dal segretario del Pci Enrico Berlinguer sganciandosi dalla cosiddetta maggioranza di solidarietà nazionale nella quale si era ritrovato con la Dc e persino con l’odiato Psi di Bettino Craxi.

         La politica è capace anche di queste sorprese, di questi paradossi: il partito di Conte emulo del Pci di Berlinguer, erede della sua presunta diversità, superiorità e simili.  Il povero Sala è finito in questo tritacarne dell’assurdo. Per quello che vale, cioè niente, gli offro la mia solidarietà umana in questa giornata davvero particolare.

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