Il massimo dunque che l’avvenente moglie slava e filo-ucraina è riuscita a strappare a Trump, contestandone fra le lenzuola ed altro i resoconti delle telefonate con Putin, è quella specie di equidistanza, indifferenza e simili espressa dal presidente americano dicendo di non stare “né da una parte né dall’altra”. E ciò per quanto abbia ereditato dal predecessore Biden, trattato del resto da lui come uno scimunito, una guerra -quella appunto in corso da tre anni e mezzo in Ucraina- condotta da Zelensky per procura statunitense. Alla quale poi si sarebbero affiancati gli europei.
Il né di là né di qua di Trump, al netto delle armi che egli fornisce o vende alla Nato con destinazione finale a Kiev, e persino dell’accordo così fortemente voluto e strappato a Zelensky per la partecipazione ai traffici delle cosiddette terre rare, o di quel che ne sarà rimasto alla fine della guerra, presumibilmente nelle mani di Putin; il né di lò né di qua di Trump, dicevo, avvalora la caricatura che del presidente americano è stata fatta a Mosca. Quella del personaggio da circo che spara bolle d’aria. Il primo a riderne, magari dopo avere personalmente ispirato quella megavignetta colorata, sarà stato al Cremlino Putin in persona, fra un ordine e l’altro di ulteriori attacchi all’Ucraina, ai suoi ospedali, alle sue scuole, alle sue case di abitazione, alle sue chiese, e non solo ai cosiddetti obiettivi militari.
Non so se e sino a quando o come la moglie riuscirà a smuovere Trump da questa ignavia che gli avrebbe rimproverato Dante confinandolo nell’Antinferno. Ma è chiaro che il destino di un’Ucraina libera, e non so quanto integra, è ormai solo nelle mani degli stessi ucraini e degli europei. Di noi europei: volenterosi e non, convinti o scettici, se non addirittura più accondiscendenti di Trump con Putin. Quella dei dazi è solo una parte della guerra più generale che si sta combattendo per la costruzione del nuovo ordine internazionale che ha in testa il presidente americano. Ammesso che abbia ancora una testa, e non sia davvero la caricatura di cui ridono a Mosca.