L’ipse dixit…di Luigi Zanda su Elly Schlein

         “Rispetto Schlein ma la verità va detta. Lei non era iscritta al Pd e per statuto non era candidabile” a segretaria del partito. “Enrico Letta ha modificato le regole ad personam alla vigila delle primarie e lei ha perso tra gli iscritti ed è stata eletta dai non iscritti. Vista la genesi della sua segreteria, c’era da spettarsi una gestione unitaria del partito, non di maggioranza. E’ questo il freno a mano che non apre il dibattito all’interno del Pd”. Lo ha appena detto in una intervista al Corriere della Sera Luigi Zanda, tra i fondatori del Partito Democratico, già capogruppo al Senato e tesoriere del partito.

         “A destra l’unica leader è Giorgia Meloni, che però non riesce a fare la presidente del Consiglio per tutto il Paese e lo fa solo per la sua parte. All’opposizione Schlein e Conte non hanno né la forza politica, né il credito o il carisma per poter aspirare alla leadership del centrosinistra”, Lo ha detto sempre Luigi Zanda in un altro precedente passaggio della stessa intervista al Corriere della Sera.

Lezione, a sorpresa, di atlantismo di Giuseppe Conte a Elly Schlein

         Ripreso a Villa Taverna, sorridente fra i ministri dell’Interno Matteo Piantedosi e della Difesa Guido Crosetto, al ricevimento dell’ambasciatore americano per la festa nazionale degli Stati Uniti, l’ex premier Giuseppe Conte ha voluto infierire sull’assenza della segretaria del Pd Elly Schlein. Con la quale pure è impegnato a costruire il “campo giusto”, come lui lo chiama preferendolo a quello “largo”, per l’alternativa al governo di centrodestra di Giorgia Meloni. Della quale contende abbastanza chiaramente l’aspirazione a Palazzo Chigi, dove Conte è già stato e vorrebbe tornare per riprendere quel percorso di “migliore presidente del Consiglio nella storia d’Italia dopo Camillo Benso conte di Cavour” attribuitogli da Marco Travaglio e interrotto da Mario Draghi. Che lo sostituì in un’operazione di cui ancora si vanta Matteo Renzi, pur essendosi il senatore toscano nel frattempo offerto al campo, giusto o largo che sia, di Conte e della Schlein. Un Conte che ora dovrebbe apparire anche a lui, Renzi,  preferibile alla segretaria del Pd sul tema non certo secondario della politica estera e, più in particolare, dei rapporti con gli Stati Uniti.

         “Gli Stati Uniti- ha detto Conte in persona spiegando la decisione di partecipare al ricevimento dell’ambasciatore americano disertato invece dalla Schlein- sono i nostri tradizionali alleati. Il che vale a prescindere da chi di volta in voltar risiede alla Casa Bianca. Io non ho mai messo in discussione questa alleanza”, nonostante le apparenze, aggiungerei per un minimo di rispetto che merita quanto meno la cronaca politica.

         Questa professione o persino lezione di atlantismo dell’ex presidente del Consiglio, sempre più stretto nei panni attuali di presidente solo del Movimento 5 Stelle, o comunque dovesse chiamarsi dopo la preannunciata offensiva giudiziaria di Beppe Grillo deposto da garante, diventerà prima o poi benzina sulla rovente situazione interna del Pd.

L’ipse dixit…di Matteo Renzi su Giorgia Meloni

         Ipse dixit è notoriamente l’allocuzione latina che prende alla lettera qualcosa detta da qualcuno per lasciarvelo inchiodato nell’autorità, la notorietà e quant’altro egli abbia acquisito, o gli sia stata attribuita, a torto o a ragione. Cercherò di farne uso, ogni tanto, e sempre brevemente, per estrapolare dalla cronaca e dal dibattito politico, ma anche sociale, qualcosa di particolarmente significativo. O che abbia, più semplicemente o banalmente, attratto la mia attenzione.

         Comincio con quest’affermazione di Matteo Renzi in una intervista pubblicata sulla Repubblica, quella di carta, il 2 luglio scorso: “Io sono quello che mena di più su Giorgia Meloni. Ho scritto un libro che ne svela i bluff, in aula non c’è volta che la premier non va in crisi quando le elenco tutti i suoi fallimenti. Ho persino iniziato a fare i podcast, addirittura con Fedez…”

Il limite di questo discorso, o ragionamento, non sta tanto nel già discutibile bullismo che lo distingue quanto nella impossibilità di dare una risposta negativa ad una domanda dirimente, secondo me, per distinguere la politica dall’antipolitica: nulla di personale? Anche perché essa è ricorrente, quasi abituale, ascoltando l’ultima, anzi la penultima di questo cinque volte ex in 50 anni di vita: presidente della provincia di Firenze, sindaco della stessa Firenze, segretario del Partito Democratico, presidente del Consiglio. Cinquant’anni, di cui almeno 21 in politica.

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