Conte il Magnanimo concede il diritto al dissenso nel “novo” MoVimento 5 Stelle

Dal Corriere della Sera

Senza cravatta al collo, che continuano invece ad applicargli i vignettisti rimasti indietro negli anni, ma con la pochette nel taschino della giacca blu e le scarpe di pelle di nuovo ai piedi, al posto di quelle da ginnastica adottate ogni tanto con spirito sportivo, Giuseppe Conte ha finalmente liberato il suo “popolo” dalle catene del fondatore, del garante, del consulente Beppe Grillo. Dal quale, quando il MoVimento 5 Stelle era davvero tutto suo, si poteva dissentire solo facendosi cacciare o precedendo l’espulsione con l’uscita spontanea.

Dal discorso di Conte all’assemblea Nova

         Ai giovani contestatori in maglietta raffigurante proprio Grillo che gli chiedevano dimissioni e trasparenza, evidentemente mancata secondo loro nella preparazione digitale dell’assemblea costituente, di rifondazione e quant’altro del movimento già primo partito d’Italia, Conte ha concesso -bontà sua- il diritto al dissenso. “Siamo aperti anche al dissenso”, ha detto testualmente senza accorgersi dell’umorismo su cui stava scivolando nella veste dantescamente “nova” -come è stata chiamata l’assemblea- che egli ha voluto confezionare al movimento non si sa per quanto ancora a destinato a portare il nome e il simbolo di cinque stelle. Per adesso dimagrito, e parecchio, di voti e di iscritti.

L’annuncio del quorum nelle votazioni digitali

         Di questi ultimi, ridotti in cinque mesi da 160 mila a 89 mila con una epurazione travestita, secondo i dissidenti, da verifica della loro operatività, Conte è riuscito a portare alle urne digitali propedeutiche all’assemblea la metà più uno forse utile ad evitare o quanto meno contrastare le contestazioni statutarie di Grillo. “Abbiamo il quorum”, ha annunciato personalmente l’ex premier- sempre lui- ad un’assemblea esplosa in un applauso liberatorio.

Contestatori di Conte all’assemblea costituente

         Il tutto si è svolto, e si conclude oggi, in un palazzo romano frequentato dai vecchi cronisti politici per seguire i congressi degli ancor più vecchi partiti di quella che è passata alla storia come “Prima Repubblica”, ghigliottinata dalla magistratura o suicidatasi -come preferiscono dire quelli che non la rimpiangono- con la pratica obiettivamente balorda dei finanziamenti irregolari. Anzi illegali rispetto a leggi, appunto, approvate più con ipocrisia che con giudizio, destinando ai partiti un finanziamento pubblico pari a meno della metà, forse un decimo, di quanto fosse loro davvero necessario per fare il mestiere non abusivo o criminale ma garantito dalla Costituzione nell’articolo 49. Rimasto purtroppo in vigore nella sua ingenua genericità, senza una legge di applicazione inutilmente auspicata dai più avveduti.

         “Tutti i cittadini -dice testualmente quell’articolo- hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Il metodo democratico che solo ora Conte -con involontaria comicità, non quella professionale di Grillo- ha “concesso” riconoscendo il diritto al dissenso senza essere cacciati, ripeto, o costretti ad andarsene di propria, ilare volontà.

La corona di Goffredo Bettini sul capo del “coriaceo” Giuseppe Conte

Da Libero

Goffredo Maria Bettini, 72 anni compiuti una ventina di giorni fa e festeggiati a Roma con quella che lui chiama affettuosamente la famiglia o comunità “asiatica”, della sua amata Thailandia, è uomo abbondante anche di pensieri e consigli. Che dispensa generosamente a tutti, e non solo ai suoi compagni del vecchio, scomparso Pci e di tutte le formazioni politiche che ne sono derivate dopo il crollo del muro di Berlino. E gli aggiornamenti anagrafici e simbolici cominciati con la quercia adottata come simbolo da Achille Occhetto deponendo ai suoi piedi la falce e il martello di memoria storica.

Bettini con Walter Veltrni

         Non tutti i consigli di Bettini, in verità, sono risultati utili ai suoi destinatari, almeno per gli effetti prodotti, o per l’uso fattone dagli interessati. Il più sfortunato dei quali è stato forse Walter Veltroni, durato meno di un anno e quattro mesi come segretario del Pd da lui stesso fondato nel 2007 con esponenti provenienti dal già menzionato Pci e dall’estinta, anch’essa, Democrazia Cristiana. Ma le disavventure o delusioni non hanno mai scoraggiato più di tanto come consigliere o allenatore il simpatico Bettini, tornato in quelle vesti sempre alla carica come “funzionario di partito”, quale si è dichiarato alla voce “professione” in tutte le biografie parlamentari e ora internettiane. Orgogliosamente funzionario di partito, ripeto, con diploma di liceo scientifico. E passione culturale e cinematografica, oltre che politica.

Bettini con Nicola Zingaretti

         Da scopritore di talenti Bettini seppe conquistarsi e a sua volta conquistare l’attenzione e l’amicizia di Giuseppe Conte nella sua seconda esperienza a Palazzo Chigi, consentitagli dopo la rottura con i leghisti dal Pd guidato da Nicola Zingaretti. E stimolato a sorpresa, in quel passaggio, dall’allora ancora iscritto ed ex segretario Matteo Renzi.

Bettini e Conte

         Liberatosi della compagnia, alleanza e simili con la Lega che lo aveva reso inviso alla sinistra, peraltro già scottata nel 2013, al loro esordio parlamentare, dai grillini che avevano rifiutato l’appoggio esterno ad un governo di “minoranza e di combattimento” proposto loro dall’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani; liberatosi, dicevo, della compagnia leghista Conte si guadagnò proprio da Bettini i gradi, diciamo così, del “punto di riferimento più alto dei progressisti”.

Bettini con Massimo D’Alema

         Adesso forse l’ormai ex presidente del Consiglio, e presidente di un Movimento 5 Stelle giù di tono elettorale, appare meno alto anche a Bettini. Che tuttavia, ribadendo posizioni già assunte nelle scorse settimane. in una intervista al Quotidiano Nazionale composto dal Giorno, Resto del Carlino e Nazione, in ordine rigorosamente geografico di stampa e diffusione, ha voluto riconoscere e sottolineare l’appartenenza dell’amico al campo progressista proclamata anche nello scontro scoppiato con Beppe Grillo, fondatore, garante, consulente, elevato e quant’altro del movimento. Proclamata a tal punto da dichiararsi ponto alle dimissioni se dovesse risultare in minoranza in quella specie di congresso, chiamato assemblea costituente, in corso.

         Nella sua generosità, e voglia anche di protezione di Conte, e di quel che dovesse rimanergli del movimento, dal rischio avvertito sotto le 5 stelle di una fagocitazione da parte di un Pd in ascesa elettorale, con o senza l’aiuto del forte calo dell’affluenza alle urne, Bettini si è spinto oltre la siepe dei numeri.

Bettini ed Elly Schlein

         In particolare, egli ha detto che, per quanto il movimento pentastellato abbia “subito un colpo alle ultime Regionali”, in Emilia-Romagna e in Umbria, “da mesi continua a collocarsi attorno all’11% nei sondaggi politici nazionali”. “E poi Conte -ha insistito- è un coriaceo combattente”. Ma i sondaggi hanno un valore ancora più virtuale del solito dopo l’ultima verifica elettorale a livello nazionale, risalente al voto europeo di giugno, in cui il movimento ormai ex grillino è andato sotto il 10 per cento.

Per un punto Martin perse la cappa dice, sia pure per un altro verso, un vecchio proverbio. Ma i punti sono ben più di uno, anche se il coriaceo, pure lui, Bettini li liquida a livello “regionale”. In Emilia-Romagna il 43 per cento del Pd è ben più di dieci volte superiore al 3,6 del movimento di Conte. Che è in natura, direi, un cespuglio.

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