Con quanta poca voglia alle urne in Emilia-Romagna e in Umbria

Dal Quotidiano Nazionale

Pur con le riserve imposte dalla seconda, mezza giornata di voto che non c’era stata nelle analoghe, precedenti elezioni, non sembra incoraggiante il calo d’affluenza alle urne registratosi al termine della prima giornata in Emilia-Romagna e in Umbria per l’elezione dei rispettivi presidenti e Consigli regionali. Persino più nella rossa e sicura Emilia-Romagna, fra le preoccupazioni confessate da Romano Prodi, che in Umbria, la più incerta nelle previsioni dei risultati per le distanze minime registrate nei sondaggi fra il cosiddetto centro sinistra a ranghi completi, comprensivo dei renziani, e il meno cosiddetto centrodestra sostanzialmente allargatosi all’”alternativa popolare” del sindaco di Terni Stefano Bandecchi.

Dal Corriere della Sera

         Non si è insomma avuta la sensazione di una corsa alle urne con entusiasmo un po’ per la tendenza in generale, ormai, alla diserzione e un po’ per l’eccesso forse di politicizzazione delle campagne elettorali, nelle quali si sono infilati temi ben poco locali come le tensioni nelle piazze d’Italia tipo anni Settanta o addirittura i contraccolpi nazionali ed europei delle elezioni americane appena vinte da Donald Trump supportato da Elon Musk. Come volete che abbiano potuto influire queste cose sugli umori, per esempio, degli elettori umbri ai quali sono state propinate in qualche comizio per demonizzare l’appartenenza della governatrice leghista  uscente Donatella Tesei alla destra?  

Credo che abbiano influito poco sugli umori dei votanti umbri anche la volontà perseguita, in particolare, dalla sinistra di strappare loro qualche contributo al desiderio di una rivincita completa, non limitata alla sola e scontata Emilia-Romagna, dopo la cocente sconfitta, sia pure di misura, o proprio perché di misura, subita il mese scorso nelle elezioni regionali in Liguria. Dove pure i sostenitori della candidatura dell’ex ministro Andrea Orlando avevano avuto inizialmente la spinta della magistratura con l’arresto del governatore uscente di centrodestra Giovanni Toti,  e poi anche  con la decisione a sorpresa dello stesso Toti di preferire un patteggiamento ad un processo per corruzione che lui si era dichiarato pronto ad affrontare, petto in fuori e braccia gonfie dei muscoli, con la sicurezza di uscirne assolto. Sia pure nei soliti, lunghissimi tempi dei tribunali italiani, compresi quelli genovesi.

Dal blog di Beppe Grillo

Fra tutti i partiti in lizza, comunque, quello messo peggio è il MoVimento 5 Stelle per la sua confusione interna, a dir poco, oltre che per le sue note difficoltà nei cosiddetti “territori”. Beppe Grillo ha persino scavalcato in un imbarazzante trumpismo Giuseppe Conte – Giuseppi, secondo il presidente di ritorno alla Casa Bianca- proponendosi sul proprio blog in connessione col trumpissimo Elon Musk.  Muskiano e  contrario ad un rapporto “organico” col Pd, l’ancora (per poco) garante a vita dei pentastellati.

Dal Tevere all’Atlantico, quando le rive si avvicinano o si allontanano

Da Libero

In una decina di giorni, fra la vittoria alla grande di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane, la sorpresa del suo amico, consigliere, finanziatore e quasi ministro Elon Musk per la partecipazione dei giudici in Italia alla gestione dell’immigrazione clandestina e la reazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la distanza fra le due coste dell’Atlantico sembra aumentata. Con tutto quello che emotivamente, ancor più che politicamente, è derivato nei partiti e sui giornali.

Il libro di Giovanni Spadolini del 1970

         Eppure Giovanni Spadolini da storico prestato allora solo al giornalismo, e non ancora alla politica, nel 1958 cominciò a prendere le misure del nostro, più modesto Tevere per sostenere che più ne aumentavano le acque nel tratto romano più ne guadagnavano i rapporti fra l’Italia e il Vaticano, lo Stato e la Chiesa.  “Il Tevere più largo- Da Porta Pia ad oggi” fu il titolo di un suo “tascabile”stampato nel 1970 da Longanesi & C. e venduto a 350 lire, neppure 20 centesimi del nostro euro.

         Quando divenne ministro della Difesa, nel 1983 col governo di Bettino Craxi, il primo guidato da un socialista nella storia d’Italia, Spadolini  invertendo i criteri della laicità si mise a lavorare col suo solito impegno per ridurre metaforicamente al minimo le distanze fra le coste americane ed europee dell’Atlantico E allorchè le vide o avvertì aumentate nella famosa notte di Sigonella del 1985, quando Craxi impedì ai marines americani nella base siciliana della Nato di catturare e portare negli Stati Uniti gli autori del dirottamento della nave italiana Achille Lauro nel Mediterraneo, giudicati e condannati poi in Italia, appunto, Spadolini si dimise per solidarietà col presidente Ronald Reagan. Al quale personalmente Craxi aveva comunicato il suo rifiuto di rinunciare alla sovranità italiana con parole che però vennero tradotte male da Michael Ledeen in veste di interprete. Per cui alla Casa Bianca rimasero di stucco nell’apprendere del fallimento dell’operazione dei marines. Peggio ancora di quanto non fosse rimasto Spadolini.

Bettino Craxi e Giovanni Spadolini

         Poi Craxi e Reagan, o viceversa, si chiarirono e ripresero ancora meglio di prima i loro rapporti scambiandosi lettere e incontrandosi alla Casa Bianca. Spadolini, dal canto suo, aveva già ritirato le dimissioni e soffocato nella culla, diciamo così, una crisi di governo sulla quale gli avversari di Craxi avevano brindato con troppa fretta. Le distanze fra le due coste dell’Atlantico tornarono a ridursi. E, grazie al riarmo missilistico della Nato completato in Italia con Craxi a Palazzo Chigi, Reagan e l’intero Occidente sfiancarono l’Unione Sovietica senza sparare un colpo, facendo abbattere il muro di Berlino dai dimostranti in festa il 9 novembre 1989.

         Ricordo tutto questo anche per motivare il mio scetticismo per le vesti che si stanno strappando addosso in tanti, anche in Italia, di fronte a quanto è accaduto dopo la vittoria elettorale di Trump e la sconfitta di Kamala Harris. Che ha fatto perdere rispetto a quattro anni prima ben dieci milioni di voti al suo partito, diventato come la sinistra in Italia il riferimento più delle elite che del popolo, più dei centri a traffico limitato che delle periferie.

         Ma, per quanto allargato, con un paradosso nel paradosso, l’Atlantico alla nostra sedicente sinistra sembra anche fare paura più di prima, facendole sentire minacciata la sovranità italiana. O ciò che rimane al governo, e allo stesso Quirinale in fin dei conti, dopo quella che si è presa la magistratura interpretando a suo modo norme costituzionali e ordinarie italiane e ora anche sentenze e direttive europee.

         Per fortuna in Italia vige ancora l’articolo 78 della Costituzione, che affida alle Camere la “deliberazione” dello stato di guerra e il “conferimento al governo dei poteri necessari”. Sennò lor signori progressisti ci avrebbero già portati alla guerra contro gli Stati Uniti, come Benito Mussolini -sì, proprio lui- il 13 dicembre 1941 accodandosi ad Hitler.

Stefania Craxi

         Forse sbaglio violando addirittura la segretezza della corrispondenza privata, ma voglio riferirvi un messaggino ricevuto dalla mia amica Stefania Craxi. Alla quale per errore, in coda ad uno scambio di saluti e valutazioni del suo bellissimo libro appena scritto sul padre a quasi 25 anni dalla morte, avevo mandato la proposta di questo articolo destinata al direttore di Libero Mario Sechi.  “Francamente -mi ha scritto la presidente della Commissione Esteri e Difesa del Senato riferendosi alla sortita di Musk- tali ingerenze non si possono sentire…Ma vedere le vedove di Kamala non ha prezzo….”. Grandissima Stefania, con tutto quello che i giudici in Italia riuscirono a fare contro il padre.

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