Dietro, sotto e sopra la confessione di Mattarella sulle leggi non condivise

Dal Messaggero

Come diceva e avrebbe probabilmente ripetuto oggi la buonanima di Giulio Andreotti, a inserire la legge di applicazione delle autonomie differenziate delle regioni fra quelle che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha raccontato di avere dovuto promulgare senza condividerle, si fa peccato ma si indovina.

Mattarella al convegno dei giovani editori

         La confessione del Capo dello Stato davanti agli studenti dell’”Osservatorio permanente giovani-editori” si presta al sospetto “peccato” perché arrivata all’indomani della decisione presa dalla Corte Costituzionale, dirimpettaia del Quirinale, di bocciare e quindi eliminare proprio dalla legge sulle autonomie regionali sette passaggi ritenuti incompatibili con la Costituzione, appunto.

Dalla Stampa

         La legge nel suo complesso è sopravvissuta all’esame dei giudici costituzionali, per cui il ministro competente, il leghista Roberto Calderoli, e il suo partito si sono dichiarati soddisfatti lo stesso. Anzi, hanno cantato vittoria quanto le opposizioni, in un gioco di specchi politici ed elettorali, visto che domani e dopodomani si voterà in Emilia-Romagna e in Umbria, che Mattia Feltri ha definito “volantinaggio” sulla Stampa. Ma essa è sopravvissuta, francamente, alquanto malmessa, inapplicabile in sette punti sin quando il Parlamento, esplicitamente invitato dalla Corte Costituzionale a intervenire, non provvederà a modificarli, riempiendo i vuoti creatisi con la bocciatura parziale dei giudici.

         Se e quando il Parlamento, sia pure con un solo passaggio fra Camera e Senato trattandosi di una legge ordinaria, interverrà è’ francamente difficile prevedere sia per gli impegni di bilancio e altro che già lo occupano sia per la calma con la quale d’abitudine il Parlamento stesso risponde agli inviti della Corte, o non risponde per niente. Come sta avvenendo in tema di fine vita.

Dal manifesto

         Di certo, nonostante la decisione con la quale il ministro Calderoli ha annunciato che il governo “andrà avanti” sulla sua strada nel trattare con le regioni passaggi di competenze, o “funzioni”, come preferisce chiamarle la Corte Costituzionale, la situazione che si è creata col pronunciamento dei giudici della Consulta è a dir poco problematica. E non aiuta di certo, nel dibattito e nell’immaginario politico, diciamo così, il sospetto di una opinione contraria anche del presidente della Repubblica sulla legge, anche nella parte sopravvissuta, ripeto, alle forbici dei supremi giudici di garanzia. Che, al limite, potrebbero essersi sentiti persino scavalcati e censurati, per il loro limitato intervento, da quella che alcuni giornali e costituzionalisti più o meno improvvisati hanno definito “la lezione” di Mattarella, promosso a “leone” nella foresta dal manifesto.

Ripreso da http://www.startmag.it 

A proposito dei centri sociali e delle loro “zecche rosse” lamentate da Salvini….

Dal Corriere della Sera di ieri

Ho qualcosa da raccontarvi anche di personale, ma non troppo, sul più famoso, credo, dei centri sociali italiani. Che è chiamato Leoncavallo dal nome della strada di Milano dove esso acquistò fama occupando abusivamente un’area privata. Un centro appena tornato sulle prime pagine dei giornali un po’ per Matteo Salvini, che lo frequentò o sostenne nella prima gioventù e adesso invece chiede che i centri sociali vengano chiusi perché hanno prodotto troppe “zecche rosse”. Come quelle che a Bologna e altrove hanno assaltato le forze dell’ordine. E un po’ per la condanna subita dal Ministero dell’Interno a risarcire di tre milioni e rotti di euro la proprietà dell’area occupata abusivamente da quel centro sociale a Milano negli ultimi dieci anni, e non sgomberata temendo disordini.

         Arrivato alla direzione del Giorno  nella primavera del 1989, quindi non dieci anni fa, scoprii l’esistenza del Centro sociale Leoncavallo leggendo le lettere di protesta che arrivavano quotidianamente da abitanti di quella strada perché disturbati  anche di notte dalla musica assordante  e da altre abitudini moleste degli occupanti abusivi di ciò che rimaneva di qualcosa di mezzo fra un capannone e un edificio.

         Ne parlai subito col capocronista, che mi consigliò di lasciar perdere per i rischi che avrei potuto correre. E che infatti, occupandomene in un po’ di articoli, provai poi con telefonate minatorie a casa. A seguito delle quali la magistratura negò le intercettazioni chieste dalla polizia, che nel frattempo mi aveva assegnato una scorta. “Il garofano verrà reciso”, annunciavano i malintenzionati a mia moglie disapprovando anche le mie simpatie personali e politiche per Bettino Craxi, che del garofano aveva fatto il simbolo del Psi.

Paolo Pillitteri con la moglie Rosilde Craxi nel 1989

         Oltre che di Craxi, ero amico del cognato e sindaco di Milano Paolo Pillitteri, al quale chiesi perché mai nella “Milano da bere” propiziata giustamente dai socialisti dopo gli spaventosi anni di piombo del terrorismo si permettesse un’isola per niente da bere in una strada pur intitolata al celebre compositore italiano -Ruggero Leoncavallo- dei “Pagliacci”, e non solo di Manon Lescaut, della Bohème, di Zazà e altro. Pillitteri dopo qualche mese tentò soprattutto con i vigili urbani -a Ferragosto, puntando sulla sorpresa- lo sgombero. Al quale gli occupanti opposero una resistenza durissima, che sorprese e impensierì non so se più il Questore o il Prefetto. I quali poi, ciascuno nelle proprie competenze, permisero che l’occupazione praticamente proseguisse. Anzi, si trasferisse da via Leoncavallo altrove, prima in via Salomone e poi in via Watteau, in una soluzione di continuità fra la prima e le successive Repubbliche.

         Almeno per gli ultimi dieci anni vedo che il Ministero dell’Interno, a causa delle complicate vicende giudiziarie che hanno contrassegnato questa storia, è stato condannato a risarcire i danni alla proprietà. Quelli alla collettività altrettanto incolpevole sono andati in cavalleria.

Ripreso da http://www.startmag.it il 17 novembre

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