I sette vizi capitali dell’autonomia differenziata soppressi dalla Corte Costituzionale

Dal Fatto Quotidiano

Una Corte Costituzionale in versione o edizione biblica ha dunque individuato ed eliminato dalla legge sulle autonomie differenziate delle regioni -previste dalla Costituzione con una modifica voluta dalla sinistra poi pentita- sette vizi o peccati capitali. Che non sono così semplici da spiegare come l’ira, l’avarizia, l’invidia, la superbia, la gola, l’accidia e la lussuria, ma sono pur sempre sette. E, messi a nudo dai giudici della Consulta nel loro travestimento da norme, hanno inferto alla legge che porta ormai il nome del ministro leghista del settore, Roberto Calderoli, un “colpo”, come ha titolato il Corriere della Sera. O l’hanno ridotta a uno “zombie”, come ha commentato sul Fatto Quotidiano il costituzionalista Michele Ainis convincendo i titolisti di quel giornale  a buttare “l’autonomia nell’indifferenziata”, cioè nella monnezza, come si dice a Roma.

Sempre dal Fatto Quotidiano

         Per quanto zombie, monnezza e simile, la legge Calderoli tuttavia  nel suo complesso è sopravvissuta alla ghigliottina dei giudici costituzionali. A completare l’opera di demolizione, e abrogazione totale negata dalla Corte dirimpettaia al Quirinale, potrebbero provvedere i cittadini col giocattolo del referendum predisposto dalle opposizioni  e per niente compromesso, secondo Ainis, dalle forbici della Consulta. Ma su questa storia del giocattolo referendario col quale umiliare, quanto meno, il governo Meloni al quale gli avversari non riescono ad allestire un’alternativa per vie politiche le opinioni divergono alquanto.

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno e Domani

         “Referendum a rischio”, hanno titolato su suggerimento di qualche altro costituzionalista la pur periferica Gazzetta del Mezzogiorno e Domani. “Addio referendum”, ha gridato La Verità di Maurizio Belpietro consultando evidentemente qualche altro giurista o, comunque, esperto della materia. A decidere alla fine sarà proprio la Corte Costituzionale, che ha l’ultima parola sull’ammissibilità di quello che ho chiamato “il giocattolo” allestito dalle opposizioni in un campo, una volta tanto, largo davvero, esteso da Giuseppe Conte a Matteo Renzi e comprensivo naturalmente del Pd di Elly Schlein, senza che nessuno cerchi di sgambettare o estromettere un altro. A meno che la Corte non trovi il modo, la fantasia e quant’altro, non mamcatale in altre occasioni, di lasciare le cose in sospeso, aspettando che il Parlamento, cui ha girato la palla, provveda a riempire i vuoti della legge uscita dall’esame della stessa Corte. E la renda commestibile o per uno o più referendum. E’ il solito cane -senza volere offendere istituzioni e persone che le incarnano- che si mangia la coda. Diciamocelo almeno da soli, come ha in qualche modo garantito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ad Elon Musk se dagli Stati Uniti l’amico, consigliere e quasi ministro di Trump dovesse allungare la vista, liberandola del suo cappellino, anche su quest’altra vicenda italiana. E creare un nuovo putiferio includendo pure la Corte nell’”autarchia” dei giudici non eletti dal popolo.

Ripreso da http://www.startmag.it 

Il cappellino di Musk sui rapporti fra gli Usa di Trump e l’Italia

Dal Dubbio

Dubito -e come non potrei in un giornale che si chiama Il Dubbio?- che il richiamo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la successiva telefonata della premier Giorgia Meloni al tycoon amico abbiano davvero chiuso il caso aperto da Elon Musk negli Stati Uniti criticando l’”autarchia” dei giudici italiani. Che con le loro decisioni proteggono i migranti clandestini a rischio di rimpatrio in paesi dalla controversa sicurezza, diciamo così. Controversa, perché la classificazione datane prima in atti amministrativi e poi in una norma di legge viene contestata da magistrati che la ritengono in contrasto con sentenze e disposizioni europee, per non parlare della nostra stessa Costituzione.

Giorgia Meloni ed Elon Musk

         Lungi dalle scuse che pure qualcuno gli ha attribuito riferendone la telefonata con la premier italiana, Musk si è limitato a condividere il “rispetto” della Meloni per il Capo dello Stato, ha rivendicato il diritto di avere ed esprimere le proprie opinioni e, nell’auspicare un incontro con Mattarella, si è evidentemente riservato di ribadirgli quello che pensa di quanto accade in Italia nei rapporti fra governo e magistratura. A proposito dei quali si può certamente dire, come ha sostenuto o ammonito Mattarella, che sappiamo cavarcela da soli, ma anche temere che creino problemi di natura internazionale quando è in gioco un fenomeno come la immigrazione clandestina. Che travalica ormai, per le sue dimensioni e i suoi riflessi, i confini nazionali.

Dal Fatto Quotidiano

         Alexander Stille in una intervista al Fatto Quotidiano ha esortato dagli ormai suoi Stati Uniti a non sopravvalutare, o addirittura “prendere suo serio”,  il pur ricchissimo amico, consulente, finanziatore di Donald Trump, che ha appena vinto la corsa alla Bianca. Dove tornerà il 20 gennaio ma vi si è appena affacciato su invito del presidente uscente Joe Biden ponendo davvero fine alla campagna elettorale         e avviando con bonomia, almeno apparente, la fase di transizione che negli Stati Uniti dura una sessantina di giorni. Durante i quali il presidente uscente continua a comandare e quello entrante prenota, anticipa e quant’altro il suo lavoro.

         Ebbene, come lo stesso Mattarella ha tenuto a precisare nel suo intervento come per rafforzarne la portata, Musk non è più soltanto un amico, sostenitore, finanziatore, ripeto, di Trump ma anche un uomo destinato a fare parte della nuova amministrazione americana. Dovrà occuparsi, pur tra i “mugugni” dell’entourage dello stesso Trump riferiti da Massimo Gaggi sul Corriere della Sera, della lotta agli sprechi nel governo degli Stati Uniti, ma non credo che egli sia andato troppo lontano dalle opinioni e dagli umori del presidente di prossimo insediamento o ritorno alla Casa Bianca parlando come ha parlato dell’Italia e dei suoi giudici. E ciò significa che c’è un problema, per quanta sordina si possa e si voglia applicargli sul piano politico e diplomatico.

         Ci sono stati altri passaggi e momenti nella storia dei rapporti fra gli Stati Uniti d’America e l’Italia dopo la fine dell’insensata guerra dichiarata da Mussolini, in cui sono stati vissuti e gestiti problemi di una certa difficoltà non sempre attenuati abbastanza dalla diplomazia. Ricordo quelli, per esempio, sorti e a volte persino esplosi, perdurando ancora la cosiddetta guerra fredda, quando in Italia si sperimentò, praticò, sviluppò un rapporto non dico di alleanza ma di “solidarietà nazionale”, come venne ufficialmente definito, fra i tradizionali partiti di governo e l’altrettanto tradizionale partito di opposizione che era il Partito Comunista, con tutti i suoi rapporti con l’Unione Sovietica. Che procedevano fra “strappi” sapientemente gestiti dal segretario Enrico Berlinguer, sopravvissuto persino ad un attentato in Bulgaria, ma comunque procedevano. E finirono per prevalere nel 1979, quando il Pci si tirò fuori dalla maggioranza di governo per contestare il riarmo missilistico della Nato resosi necessario per il vantaggio militare acquisito dal blocco orientale dell’allora Patto di Varsavia con l’installazione degli SS 20 puntati contro le capitali dell’Europa occidentale.

Donald Trump ed Elon Musk

         Certamente le cose sono cambiate. Le analogie sono relative. Ma la politica resta la politica. E ci sono problemi che possono ripresentarsi in altro modo, fra i quali forse anche quello di un Paese dove si erigono muri lungo i confini per proteggersi dall’immigrazione clandestina e si fatica, quanto meno, a capire che in Italia il governo non può muoversi, né assumere impegni, su certi terreni dovendosi in qualche modo guardare anche dai giudici che la pensano diversamente interpretando altrettanto diversamente leggi e quant’altro.

Pubblicato sul Dubbio

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