
Se anche l’Austria, come già altri paesi e regioni d’Europa, “si tinge di nero”, come ha titolato Repubblica commentando i risultati elettorali che ne hanno appena premiato l’estrema destra, per quanto questa non riuscirà probabilmente a governare neppure a Vienna per il cordone sanitario, diciamo così, perseguito o annunciato dagli altri partiti, tutti sorpassati, l’Italia delle piazze e delle bacheche social si tinge di rosso pur avendo al governo la destra di cui dispone, fortunatamente conservatrice piuttosto che estremista. Un rosso di tonalità vergogna, diciamo così.

Allo spettacolo di Milano, rimasto impunito, dei soliti manifestanti filo-palestinesi con cartelli contro la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah e liquidata politicamente come “spia sionista”, è seguito quello più generale, fra giornali stampati e siti elettronici, contro le Poste -che spero non vengano assaltate da qualche parte- per avere emesso un francobollo celebrativo di Silvio Berlusconi nell’ottantottesimo compleanno, mancato, a poco più di un anno dalla morte e dai funerali di Stato che gli spettavano. Ai quali partecipò per primo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Si tratta dello stesso Berlusconi -il padre, non i figli- che da una certa parte politica viene da qualche tempo quasi rimpianto, contrapposto in commenti, analisi e saggi alla donna -Giorgia Meloni- che ne ha preso il posto alla guida del centrodestra, strappandoglielo non con qualche congiura di palazzo ma in libere elezioni svoltesi quando egli era ancora vivo. E probabilmente non ne rimase neppure lui tanto contento, sorpreso anche a scriverne criticamente sul suo banco al Senato, ma accettò democraticamente e lealmente l’esito del voto.

Ora di fronte al francobollo fresco di stampa in 350 mila copie si è levato l’invito, fra l’altro, a “sputarlo di dietro e davanti”: di dietro per attaccarlo su una busta e davanti per sfregiare la memoria di Berlusconi pregiudicato, erotomane, corruttore, piduista e via sgranando la corona delle invettive dei suoi avversari in vita e, vedo, anche in morte. Fra i quali ha voluto arruolarsi anche il sindaco di Milano Beppe Sala contestando in tribunale -e dove sennò? viene spontaneo chiedersi- la decisione presa in sede politica e amministrativa di intestargli l’aeroporto internazionale di Malpensa.
Ma in che razza di Paese -viene di nuovo spontaneo chiedersi- ci tocca di vivere? Muniti di una cittadinanza che forse meritiamo meno di quelli che, venuti da fuori e a volte persino nati qui, cresciuti nelle nostre scuole, pratici dei nostri dialetti, non possono neppure chiederla. O se la vedono comunque negata anche perché non contemplata nel programma del governo in carica. Che pure non è la Bibbia.