Elly Schlein rischia di essere sempre più imprevista, come si definisce anche nel suo libro autobiografico appena pubblicato, ma al contrario, come il mondo descritto e temuto dal generale in aspettativa Roberto Vannacci, europarlamentare di assalto non si capisce bene se più nella o alla Lega, per quanto Matteo Salvini si fidi o mostri ancora di fidarsi di lui. Ve lo ha portato, del resto, come indipendente fra il malumore e le preoccupazioni neppure nascoste di generali e colonnelli del Carroccio.
Data da Renato Mannheimer in un sondaggio per Piazzapulita – che la Schlein ha seguito dallo studio di Carlo Formigli sorseggiando un bicchiere d’acqua- di circa un punto e mezzo sotto il 24,1 per cento delle elezioni europee di giugno, la segretaria del Pd si è vista oggi sul Corriere della Sera sotto di circa il doppio, scesa al 21,6 nel sondaggio di Ipsos condotto da Nando Pagnoncelli.
Nando Pagnoncelli
Non è un bel scendere, bisogna ammetterlo, specie considerando le difficoltà quanto meno mediatiche in cui si è trovato il governo nelle ultime settimane. Roba, per la segretaria del Nazareno, da farsi andare storta l’acqua in gola. Tanto più che con Pagnoncelli è andato ancor meglio che con Mannheimer quel diavolaccio di Giuseppe Conte, per quanto messo sulla graticola nel MoVimento 5 Stelle dal fondatore, garante, elevato, sopraelevato Beppe Grillo.
L’ex premier risulta salito nel sondaggio dell’Ipsos dal quasi 10 per cento di giugno al 13 per cento, e non al 12 di Mannheimer. Ciò potrebbe naturalmente portarlo a muoversi nel cosiddetto campo largo, come lo chiama la Schlein, o giusto, come preferisce lui, con minore rassegnazione alla leadership della segreteria del Pd eretta a monumento da Matteo Renzi nella sua rivoluzione d’estate.
Il buon Federico Geremicca, che conosce bene la sinistra per esservi nato e cresciuto familiarmente, trova Elly Schlein troppo “prudente”. E le ha chiesto sulla Stampa più coraggio, e chiarezza riformistica, anche a costo di sfasciare il campo dell’alternativa che cerca di costruire il più largo possibile, esteso da Matteo Renzi a Giuseppe Conte. Che ne sono i punti più distanti sotto ogni profilo.
Dalla Stampa di ieri
“Ci si può proporre per il governo del Paese -ha chiesto Federico- se non si è tutti d’accordo sul sostegno all’Ucraina? Si può stare assieme avendo idee così diverse in materia di giustizia e, talvolta, persino di Costituzione? Si può essere indifferenti di fronte alla crescente polarizzazione del mondo (Harris e Trump uguali non sono) e alla crisi montante del sistema Europa? “. Specie dopo la sveglia, mi permetterei di aggiungere- che ha cercato di dare Mario Draghi con il suo rapporto sulla competitività dell’Unione che ha incuriosito Giorgia Meloni, sino a chiedergli un appuntamento per parlarne a Palazzo Chigi, e lo ha reso ancora più ostico a Conte. Che non gli ha ancora perdonato di essergli succeduto proprio a Palazzo Chigi prima che vi arrivasse la premier in carica da quasi due anni.
Paolo Flores d’Arcais, un altro che conosce bene la sinistra ma di un tipo diverso da quello familiare a Geremicca, avendo preteso a suo tempo di ispirarla nella forma più estremistica e girotondina possibile, ha dato alla Schlein della “dadaista” in una recente intervista al Foglio. Dadaista, al di là del richiamo all’omonimo movimento di protesta sorto dopo la prima guerra mondiale, dal balbettio d’esordio -dada, appunto- emesso dai bambini come espressione vocale, senza significato.
Il sondaggio diffuso da Piazzapulita
E’ un po’ come ha fatto la segretaria del Pd nel salotto televisivo di Corrado Formigli rispondendo alle domande sul programma alternativo al centrodestra e ricorrendo ogni tanto nella insofferenza del conduttore, come una volta le capitò nel salotto adiacente di una Lilli Gruber che, pur con tutta la sua esperienza professionale, non riusciva a comprendere le sue risposte e le chiedeva come potesse immaginare di essere compresa dagli elettori. E infatti gli elettori dopo averla premiata nel voto europeo di giugno, spingendola al 24 per cento e facendole sorpassare di ben 14 punti il movimento grillino che la incalzava, mostrano segni di stanchezza e delusione, a dir poco.
Proprio nella Piazzapulita di Formigli, “l’imprevista”, come la segretaria del Pd si è compiaciuta di chiamarsi anche nel titolo del suo libro fresco di stampa, si è sentita e vista raccontare da Renato Mannheimer, con i dati di un sondaggio appena condotto di avere perso più di un punto e mezzo di “intenzioni di voto” rispetto ai risultati delle elezioni europee. Quasi quanto ha invece guadagnato il partito della Meloni pur con tutti gli accidenti, reali o presunti, del governo nelle ultime settimane, compresa naturalmente la vicenda intestata all’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e alla sua mancata consigliera, amica, amante e quant’altro Maria Rosaria Boccia. Che nella mancata -anch’essa- intervista a Bianca Berlinguer per la quarta rete berlusconiana ha voluto smentire o ridimensionare Sangiuliano pure nella relazione “sentimentale” da lui confessata in televisione, con tanto di scuse alla moglie. Se relazione vi è stata -ha avvertito la Boccia- non si è spinta sino al sesso. Povero Gennaro, mi è venuto spontaneo di dire con biasimevole spirito maschilista leggendo le parole riferite da Bianca e riportate fra virgolette sulla prima pagina del Corriere della Sera.
Conte e Grillo
Mannheimer ha fatto alla Schlein la cortesia, cavalleresca e politica, di tradurre quel punto e mezzo perduto fra le elezioni di giugno e il suo sondaggio quasi autunnale in una “tenuta” del Pd. Una tenuta anch’essa dadaista, direi, perché si è trattato e si tratta, più realisticamente e semplicemente, di un arretramento. Paradossalmente opposto, peraltro, all’avanzamento di un Conte pur in difficoltà per le condizioni imbarazzanti, quasi comiche, in cui il MoVimento 5 Stelle si trova dopo l’offensiva aperta contro il suo presidente dal fondatore, garante, elevato, anzi “sopraelevato” Beppe Grillo, come lo stesso Conte lo ha ironicamente definito rifiutando di considerarsi sottostante.
L’amaro Toti non è servito al bar, né al ristorante alla fine del pasto per farlo digerire meglio. E’ solo il patteggiamento che l’omonimo governatore della Liguria ha servito a sorpresa prima delle elezioni regionali del mese prossimo per chiudere la vicenda che gli è costata 80 giorni di arresti domiciliari, oltre alla presidenza della regione. E per “scendere dal Golgota”, dove era stato “lasciato solo”, gli ha attribuito il Corriere della Sera”.
Dal Fatto Quotidiano
Di amarezza ha parlato lo stesso Toti per non poter “perseguire sino in fondo le ragioni d’innocenza”, dopo essere stato accusato di corruzione, concussione ed altro ancora. Un’amarezza mitigata dal “sollievo di vedere riconoscere” dagli inquirenti “una buona parte” di quelle ragioni col ripiegamento sul “reato evanescente di corruzione impropria”, da “atteggiamenti” più che da “atti”. Un reato tanto difficilmente dimostrabile dall’accusa quanto difficilmente contrastabile dalla difesa. Che ha ritenuto più vantaggioso patteggiare, appunto, due anni e un mese di carcere convertiti in due ore al giorno di lavori di pubblica utilità, l’interdizione temporanea dai pubblici uffici e la confisca di 84 mila euro ricevuti per finanziamento politico illegale da privati.
Dall’Unità
Se l’amarezza debba prevalere sul sollievo o viceversa non è questione tuttavia di competenza del solo Toti e del suo legale. E’ questione che in qualche modo riguarda anche quanti, già elettori dello stesso Toti, o semplici cittadini e opinionisti schieratisi a sua difesa hanno condiviso una battaglia nella quale lui medesimo si era impegnato manifestando la volontà di resistere indefinitamente all’assalto giudiziario e mediatico cominciato il 7 maggio col suo improvviso arresto, sia pure ai domiciliari e non in una prigione vera e propria, dietro le sbarre di una cella.
Da Repubblica
Il patteggiamento, scontato nell’accettazione del giudice delle indagini preliminari, rischia di avere una ricaduta sulle elezioni regionali, presumibilmente più a favore del candidato della sinistra alla presidenza della Liguria, l’ex ministro Andrea Orlando, già esultante sui giornali, che di quello appena trovato dal centrodestra nella persona del sindaco di Genova Marco Bucci. Che è stato convinto personalmente dalla premier Giorgia Meloni ad una disponibilità che sembrava preclusa dalle sue condizioni di salute, oltre che dalla volontà originariamente espressa di portare a termine regolarmente il suo mandato di primo cittadino.
Marco Bucci e Giorgia Meloni
L’immagine di debolezza che ogni patteggiamento, a torto o a ragione, si porta inevitabilmente appresso sul piano mediatico, potrebbe aumentare le difficoltà del centrodestra, per quanto allargato col generoso intervento di Bucci al consenso extrapartitico del cosiddetto localismo civico. “Non ne sapevo nulla”, ha detto lo stesso Bucci del patteggiamento di Toti.