La resa allegra della premier a chi le misurava l’assenza da Palazzo Chigi

Titolo di Domani

La resa di Giorgia Meloni -tra “l’ironia e la propaganda” lamentate da Domani- alla caccia condotta contro la sua assenza per per quattro giorni, 11 ore e 19 minuti registrati dal contatore della trasmissione televisiva “in onda” sulla  7, è ininfluente sui propositi di guerra, addirittura, delle opposizioni.

Dal Corriere della Sera

         Il pur solitamente mite, scanzonato, battutista Pier Luigi Bersani – l’ex segretario del Pd entrato praticamente nelle riserve della politica dopo il troppo ardimentoso tentativo del 2013 di allestire un governo “di minoranza e di combattimento”, impeditogli dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ritirandogli l’incarico di presidente del Consiglio-  ha annunciato sul Corriere della Sera che “in autunno sarà battaglia” contro il governo fra “voto regionale e riforme”.

Dalla Stampa

         Ma i problemi alla premier non vengono né verranno solo dalle opposizioni, visto che il suo “ritorno” dalle vacanze è avvenuto anche “tra gli alleati riluttanti”, su cui ha preferito titolare La Stampa, ritenendoli forse ancora più insidiosi degli avversari dichiarati. In effetti tra leghisti e forzisti si sono sprecati e si sprecano tuttora polemiche e sgambetti su diversi temi, e non solo su quello particolarmente vistoso della cittadinanza per cosiddetto ius scholae ai figli degli immigrati.

Vannacci e Salvini

         Ma leghisti e forzisti non sono solo in contrasto fra di loro. Hanno problemi pure al proprio interno: con Antonio Tajani più o meno assediato anche o soprattutto dai figli di Silvio Berlusconi e con Matteo Salvini che, pur negandolo a parole, deve guardarsi alle spalle anche dal generale Roberto Vannacci. Che alle elezioni europee di giugno ha raccolto più di mezzo milione di voti di preferenza destinati forse a creare all’arrembante leader del Carroccio più problemi di quanti egli non pensi di avere invece risolto arruolando nelle sue liste l’autore e nemico insieme del “mondo al contrario”.   

Dal Foglio

         L’unica o maggiore consolazione della Meloni finalmente tornata al suo posto, non riuscendo a guadagnarsi neppure il ringraziamento        di chi ne misurava l’assenza col calendario e il cronometro, sta forse nella consapevolezza dei problemi della sua antagonista Elly Schlein: la segretaria del Pd in arrivo  a Siena e poi a Procida dopo una vacanza che è riuscita a tenere segreta. Sul Foglio l’aspettano riduttivamente alle prese con i problemi di Andrea Orlando, da “scaricare” in Liguria come candidato alla presidenza della regione non gradito nel cosiddetto campo largo ai grillini, e di Paolo Gentiloni. Che, quasi ex commissario europeo oltre che ex presidente del Consiglio, va “sistemato” in qualche modo al Nazareno e dintorni.

Giuseppe Conte

         In realtà, il problema più spinoso della Schlein resta proprio quello del “campo largo”. Dove Conte contesta di Renzi non solo e non tanto l’ambizione a farvi parte ma l’opinione che la candidata delle opposizioni a Palazzo Chigi debba essere la stessa Schlein perché segretaria del partito più votato nell’area dell’alternativa al centrodestra.

Ripreso da http://www.startmag.it

Invettive e scomuniche contro il fascino della Meloni a sinistra

Da Libero

Franco Monaco, della sinistra post-democristiana benedetta dal compianto cardinale Carlo Maria Martini sino a diventare ai suoi tempi presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana, provvisto anche di una esperienza parlamentare fra il 1996 e il 2013 passando per le liste dell’Ulivo e del Pd, ha rimproverato a Giorgia Meloni su Domani, il giornale di Carlo De Benedetto, non solo “il rapporto irrisolto col suo passato”, per quanto la premier abbia soltanto 47 anni. Ma anche di avere “reclutato” nel suo governo “per occuparsi di fisco” Nicola Rossi, “economista in origine dalemiana”, già parlamentare pure lui. Che sarebbe solo “l’ultimo caso di aperto collaborazionismo con la destra di esponenti politici forgiati nel Pci e nei suoi epigoni”.

Ieri su Domani

Come si spiega questo in un centrodestra -ha chiesto Monaco a mezza strada fra l’analista politico e un potenziale pubblico ministero di un processo alla storia- che oltre al “passato” della Meloni ha l’inconveniente del “gene berlusconiano”? Già, dimenticavamo, c’è pure traccia di quel diavolaccio della buonanima di Silvio Berlusconi in questa maggioranza alla quale avrebbero ceduto e starebbero cedendo pezzi, o singoli esponenti, della sinistra proveniente dell’insospettabile Pci anche di Massimo D’Alema. Che, in verità, già il compianto Giampaolo Pansa aveva immaginato culo e camicia -si dice così- con Berlusconi chiamandolo “Dalemoni”. Ma Monaco, evidentemente, non se n’era accorto.

Nicola Rossi

Oltre che con Nicola Rossi- “ultimo caso”, ripeto, di una contaminazione con la destra oggi al governo guidato dalla Meloni- l’editorialista di Domani se l’è presa con quegli esponenti del Pd che praticano lo stesso atlantismo della premier italiana, altri già collaboratori di D’Alema a Palazzo Chigi che oggi dalle colonne del Riformista strizzereberro gli occhi, e non solo quelli, alla prima donna, e di destra, alla guida del governo, e Luciano Violante. Che fu “patrocinatore” già ai tempi in cui era presidente della Camera, della “pacificazione nazionale con la destra postfascista la cui evoluzione incerta e ambigua oggi sotto i nostri occhi suggerirebbe più di qualche ripensamento”.

Luciano Violante

Violante invece, benedett’uomo, deve avere sorpreso, deluso, allarmato Monaco anche o ancor più sul versante della Giustizia, dove il governo Meloni ha avviato una serie di riforme di fronte alle quali lui non si è strappato né i vestiti né i capelli, per quanto o proprio perché pochi rimastigli addosso. Sui magistrati, peraltro suoi ex colleghi, trincerati nella difesa degli spazi conquistati ribaltando agli inizi degli anni Novanta gli equilibri nei rapporti con la politica fissati nella Costituzione del 1947, Violante è di una criticità, anzi spietatezza che potrebbe invidiargli persino il guardasigilli in carica Carlo Nordio.

Scampati all’osservatorio, o alle batterie di carta di Franco Monaco, mi permetto di segnalare -naturalmente con fini tutt’altro di assalto o di scomunica, forse più incline alla formazione culturale dello stesso Monaco- altri casi, per giunta recenti, di esponenti di sinistra rifiutatisi di scambiare il governo Meloni per l’Inferno. Che persino Papa Francesco  da qualche tempo immagina vuoto, o quasi, essendo forse gli inquilini tornati fra di noi ad alimentare e condurre guerre.

Gianfranco Pasquino

Proprio su Domani, il giornale -ripeto- di Carlo De Benedetti, e in un editoriale posizionato meglio di quello di Monaco, l’ex parlamentare di sinistra e professore emerito di scienza della politica Gianfranco Pasquino ha bocciato in dottrina e azione le opposizioni per l’assalto alle sorelle Meloni in tema di nomine. Cui la premier e il suo governo -ha ricordato Pasquino- possono procedere avvalendosi del parere di chiunque, specie se dirigente del maggiore partito della coalizione, rispondendone nelle sedi opportune, parlamentari o improbabilmente giudiziarie che dovessero essere invocate all’ombra del fumoso e già ridotto reato del traffico d’influenze.

Enrico Morando

Enrico Morando, altro ex parlamentare di sinistra e già vice ministro dell’Economia che non dovrebbe essere ignoto a Monaco, ha invece bocciato, anche lui in dottrina e in azione, i referendum promossi dalle opposizioni contro le autonomie differenziate delle regioni, introdotte peraltro in Costituzione non dalla destra ma dalla sinistra nel 2001.

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