La caccia alla premier e altre paranoie della politica, non solo d’agosto

Dal manifesto

         Con l’aria di un gioco, che tale però non è per la carica di critiche e allusioni che l’accompagna, alla 7, la rete televisiva dell’editore del Corriere della Sera Urbano Cairo, hanno cominciato ieri sera “in onda” il conteggio dei giorni, delle ore, dei minuti e dei secondi che la premier Giorgia Meloni si è presi di riservatezza assoluta nella parte conclusiva delle vacanze. Prima di sottoporsi allo “stress del rientro”, come l’ha definito il manifesto, forse prendendo alla lettera quei “mortacci” attribuiti ieri dal vignettista del Corriere, Emilio Giannelli, immaginandola affranta, sulla soglia dell’ufficio a Palazzo Chigi, davanti alla pila dei dossier sulla scrivania.

In onda ieri sera sulla 7

         I tre giorni, 17 ore, 45 minuti e 11 secondi d’avvio del conteggio della trasmissione televisiva della 7 sono naturalmente già saliti mentre scrivo. E chissà di quanto ancora saliranno prima che la premier deciderà di rifarsi vedere e riprendere da fotografi e telecamere. E senza dare le spiegazioni, giustificazioni e quant’altro della sua assenza ai curiosi che si aspettano da un presidente del Consiglio la reperibilità continua per tutti singolarmente i cittadini e le cittadine della Repubblica. Se manca questa reperibilità generalizzata, universale, gatto ci cova. Tutti i sospetti sono leciti in nome della libertà d’informazione, d’opinione e di immaginazione.

         Alla Rai, già sospettata, anzi accusata di telemelonismo, per liberarsi da questa fastidiosa prigionia che ha trovato eco anche all’estero, dove si scrive e si parla di un’Italia ormai tornata al fascismo, non resta forse che trasmettere in edizione straordinaria, e fuori stagione, della nota trasmissione “Chi l’ha visto?”.  Alla ricerca, appunto, della premier.

Da Libero

           Nel clima parossistico, a dir poco, della politica italiana, e delle polemiche che la condiscono, non deve stupire più di tanto neppure che qualcuno, alla ricerca delle ragioni e delle ispirazioni di Antonio Tajani sulla strada della cittadinanza per cosiddetto ius scholae, sia andato anche oltre i figli di Silvio Berlusconi e abbia indicato la deputata del Pd Cristina Tajani scambiandola per una figlia segreta del segretario di Foza Italia, vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Meno male che l’interessata, come riferisce Libero, ha accompagnato la smentita con una risata e con “un abbraccio al mio papà e alla figlia -quella vera-  del ministro”, sua mancata sorella. 

             La paranoia, più ancora del complottismo avvertito nel centrodestra anche dalla Meloni di recente a proposito delle polemiche sul ruolo della sorella Arianna nelle nomine, è forse l’erba che cresce spontanea nel fantomatico “campo largo” dell’alternativa al governo.

P.S. – La premier in mattinata si è fatta sentire e vedere sui cosiddetti social. La programmazione straordinaria di “Chi l’ha visto” sulla Rai è superata, si spera.

Tutto il contenzioso fra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen dopo l’armonia

Dal Dubbio

Claudio Tito su Repubblica ha cercato di alzare ancora di più la pila delle pratiche accumulatesi sulla scrivania di Giorgia Meloni, sorpresa in una vignetta del Corriere della Sera al suo ritorno in ufficio nella classica invettiva romanesca contro “li mortacci” degli altri.

 In particolare,  Tito ha un po’ tirato sul ritardo, ormai in esaurimento, della designazione di chi rappresenterà l’Italia nella Commissione europea che la presidente confermata Ursula von der Leyen sta predisponendo.

         Lo stesso Tito, d’altronde, ha riconosciuto che in fondo l’Italia non è la sola ritardataria, essendovi altri Paesi dell’Unione incapaci di una designazione perché privi di un governo. Lo è persino la Francia, pur non menzionata nell’articolo di Repubblica, più di un mese e mezzo dopo elezioni anticipate. Ma la Francia, si sa, è particolare. Il presidente Macron non ha bisogno di nascondersi dietro un governo, né gradito né sgradito, per dare le sue indicazioni a Bruxelles.   E trattarne il corso dietro o davanti alle quinte.

Giorgia Meloni e Raffaele Fitto

         La presidente della Commissione europea sarebbe in “gelo” con la Meloni anche per le insistenze, probabilmente rinnovate attraverso la presidente del Parlamento europeo molto amica della premier italiana, nella richiesta di una vice presidenza della stessa Commissione per il rappresentante italiano. Insistenze che starebbero creando problemi alla von der Leyen, a prescindere dalle qualità personali del commissario di cui ormai si conosce il nome: l’attuale ministro agli affari europei e dintorni Raffaele Fitto. Qualità che la presidente della Commissione apprezza ma che sono politicamente in conflitto, diciamo così, con l’appartenenza ufficiale di Fitto ad un partito i cui rappresentanti nel Parlamento europeo hanno votato contro la sua conferma. E’ il partito della stessa Meloni, noto come Fratelli d’Italia. La cui convergenza con la Lega di Matteo Salvini nell’Europarlamento è stata ed è una circostanza aggravante, diciamo anche questo, per l’animosità dello stesso Salvini verso Ursula von der Leyen espressa anche quando la premier italiana era riuscita a instaurare con lei un rapporto ostentatamente eccellente, fra baci, abbracci e viaggi insieme.

il ministro della Giustizia Carlo Nordio

         Questo clima fra le due donne, per carità, potrà anche tornare perché in politica la regola è di non dire mai a niente e a nessuno. E le deleghe di Fitto, alla fine, potranno anche aiutare. Ma in questa estate torrida sotto tanti altri aspetti è intervenuto fra la Meloni e la von der Leyen un inconveniente, se non lo vogliamo chiamare incidente. E’ la mancata risposta, che la Meloni invece si aspettava per evidenti ragioni politiche, alla lettera di sfogo inviatale -e diffusa publicamente- contro le strumentalizzazioni alle quali, volente o nolente Bruxelles, si era prestato il famoso rapporto europeo sullo stato del diritto in Italia.  Dove, a leggere quel dossier per le fonti usate nella stessa Italia dagli estensori raccogliendo più opinioni che fatti, sarebbe tutto in pericolo, anche la libertà di una stampa che pure può scrivere del ministro della Giustizia in carica come di un ubriacone per le riforme della Giustizia che intende portare avanti in Parlamento. Dopo quella già approvata, e controfirmata dal capo dello Stato pur all’ultimo momento utile alla promulgazione, per l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, la delimitazione di quello del traffico di influenze e un ricorso più garantista all’arresto prima del processo, affidandone in prospettiva la decisione ad un collegio di giudici.

         Solo a Bruxelles -diciamo la verità, anche a costo di apparire sovranisti della peggiore specie- poteva saltare in mente l’idea che in un’Italia dove si può scrivere -ripeto- anche di un ministro della Giustizia ubriacone per questi interventi o iniziative, o per avere dichiarato di non essere riuscito, con la sua esperienza di ex magistrato, a comprendere un’ordinanza giudiziaria relativa al caso di Giovanni Toti, fosse davvero in pericolo anche la libertà d’informazione e d’opinione.

Anche per questo penso che una risposta alla Meloni, pubblica e non privata, da parte di Ursula von der Leyen fosse e sia tuttora dovuta.

Pubblicato sul Dubbio

Blog su WordPress.com.

Su ↑