Anche Arianna Meloni lascia, come Giorgia, il padre delle sue figlie

Dal Foglio

         Mentre Gorgia Meloni, finita la vacanza in Puglia senza rientrare nella sua abitazione romana, rivendicava il diritto alla riservatezza, non essendo ancora un premier -come dice lei parlando al maschile neutro- costretto a indossare il braccialetto elettronico di un sorvegliato, la sorella Arianna si è nuovamente imposta alla cronaca politica con un annuncio di carattere personalissimo. Che in qualche modo però l’affianca anche sotto questo profilo alla sorella anagraficamente minore ma politicamente maggiore. Pure lei si è lasciata dal padre delle sue figlie: due, non una come la sorella.

         Mentre si  conosce la ragione della rottura consumatasi l’anno scorso fra Giorgia Meloni e Andrea Giambruno, colto in un fuori onda poi mandato in onda da Mediaset in atteggiamenti sconvenienti, non si conosce il motivo dell’esaurimento del rapporto fra Arianna e Francesco Lollobrigida: sì, proprio lui, il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, “il cognato” nelle cronache politiche in questo comuni fra prima, seconda e non so quante altre edizioni attribuibili alla Repubblica in corso dal 1946.

Arianna Meloni al Foglio

         “I nostri rapporti personali -ha dichiarato Arianna Meloni ad un giornalista del Foglio riuscito a raggiungerla telefonicamente, credo in Sardegna- sono ancora solidi, poi l’amore è un’altra cosa. L’affetto e la stima rimangono intatti. Per ora è così. E visto che sono affari nostri e ci sono tante persone che amiamo in mezzo, la finirei con la curiosità morbosa. Grazie”.

         Quel “per ora è così” è diverso dal “definitivo” apposto recentemente dalla sorella Giorgia, in una intervista a Chi, parlando dello stato di separazione da Giambruno, pur partecipe in qualche modo delle sue vacanze in Puglia con la figlia Ginevra. Può darsi quindi che le cose per Arianna possano tornare ad essere come prima, una volta chiariti gli eventuali dissapori che hanno fatto distinguere l’affetto e la stima dall’amore. Che peraltro è una parola magica anche politicamente per il ministro quasi consorte, o ex, che l’ha adoperata ieri a Rimini, anche lui al raduno dei ciellini come Antonio Tajani e Matteo Salvini, per parlare dei requisiti necessari alla cittadinanza nella riforma che divide rumorosamente i due vice presidenti del Consiglio.

         L’aspetto paradossale di questo annuncio tutto privato di Arianna Meloni, completamente estraneo ai “complotti” evocati o temuti ai suoi danni a mezza strada fra cronache giudiziarie e politiche sul versante delle nomine di competenza governativa, è costituito dal giornale al quale la sorella della premier ha ritenuto di doverlo riservare. Il Foglio è, fra tutti  i quotidiani, forse quello più ostinato in una specie di assedio critico al ministro dell’Agricoltura, rimediando -se non ricordo male- anche una denuncia.

Tutte le trappole fra le quali si muove Tajani in attacco o in difesa

Dal Dubbio

La polemica fra Matteo Salvini e Antonio Tajani, in ordine rigorosamente alfabetico, c’è tutta, per carità E anche diretta, non più per interposta persona. Ci sono anche lo strappo e la sfida che hanno ispirato i titoli di molti giornali sulla partita in corso fra i due pur alleati del centrodestra sul percorso politico e parlamentare della cittadinanza da concedere per il cosiddetto ius scholae, al posto di altre formule legislative ricavate sempre dal latino.

C’è anche lo strappo, ripeto, per quanto la parola mi sembri esagerata dopo quello cui ci aveva abituati negli anni Settanta Enrico Berlinguer prima prendendo le distanze genericamente dall’Unione Sovietica, considerata ancora madrepatria da tanti comunisti italiani, poi rifugiandosi in una intervista sotto l’ombrello della Nato per proteggersi pure lui da Mosca, infine rimediandosi un attentato di reazione per sua fortuna fallito in territorio bulgaro, e costata la vita solo al camionista che ne doveva travolgere l’auto e ucciderlo.  

         Poi, a dire la verità, ad esperienza conclusa della stagione della cosiddetta solidarietà nazionale con la Dc di Aldo Moro o proprio per concluderla, una volta morto Moro per mano dei brigatisti rossi, e forse anche di complici sfuggiti a tutte le inchieste e a tutti i processi, Berlinguer si rifiutò di partecipare alla riparazione dell’ombrello della Nato. Che nel frattempo era stato bucato metaforicamente dai missili SS20 puntati dalla Russia contro le capitali dell’Europa occidentale, installati nelle basi dell’alleanza rossa del Patto di Varsavia. E lo strappo rimase solo quello da tutti gli altri partiti italiani in una esaltazione moralistica della “diversità”, cioè superiorità, del Pci. Nella cui convinzione il povero Berlinguer morì sul campo quarant’anni fa comiziando sino all’estremo delle sue forze fisiche. E riuscendo da morto a sorpassare la Dc, sia pure di poco e in un turno elettorale europeo, ininfluente sugli equilibri interni italiani.

Tajani e Salvini

         Ma torniamo ai nostri giorni e al loro più modesto strappo, che è quello annunciato dai giornali fra Salvini e Tajani. L’uno avvertendo che la cittadinanza è solo formalmente fuori dal programma di governo, come ritiene l’altro prendendosi la libertà di votare come vuole in Parlamento, ma è riconducibile al problema dell’immigrazione. Che di quel programma fa invece parte importante, anzi dirimente. E l’altro continuando a reclamare libertà d’azione e d’iniziativa, cioè ignorando o facendo finta di non avere sentito la musica dell’altro.

Tajani e Renzi

         Torniamo a questo argomento per chiederci tuttavia se l’apparenza equivalga alla sostanza. Se lo scontro sia davvero, o soprattutto, quello fra Salvini e Tajani e se esso invece non nasconda o non sia addirittura funzionale ad un’altra partita, Che è quella in corso, con tanto di titoli -anch’essi- sui giornali e di sfide, almeno nei fatti, fra Matteo Renzi e Antonio Tajani, pure loro in ordine rigorosamente alfabetico.

         Renzi, a dire la verità, è impegnato da qualche tempo nella sua penultima scoperta, che è quella del cosiddetto campo largo dell’alternativa alla Meloni, cui si è proposto giocando, fra l’altro, al pallone con la segretaria del Pd Elly Schlein e passandogliene uno peraltro sfortunato, finito in porta ma annullato.  Ma l’ex premier cerca di far capire agli elettori moderati del centrodestra, che continuano ad essere i suoi interlocutori preferiti e immaginari, che è costretto a giocare a sinistra per l’incapacità di Tajani, appunto, di occupare, salvaguardare, difendere e fare avanzare lo spazio di centro nella coalizione di destra.

Dagospia assemblea Tajani e i figli di Berlusconi

Così Tajani diventa nelle interviste scritte e parlate di Renzi “Re Tentenna”. E se ne prevede alla fine la resa a Salvini pur di evitare una crisi di governo. E magari Tajani alla fine sarà costretto per disperazione anche alla crisi pur di difendere l’elettorato del suo partito non dalle invadenze e quant’altro dei figli di Silvio Berlusconi, di cui tutti scriviamo un giorno sì e l’altro pure, bensì dall’assedio o dalle incursioni propagandistiche di Renzi. Ma forse mi sono spinto troppo avanti con l’immaginazione, le previsioni, i timori, chiamateli come volete. E mi fermo al triangolo Renzi-Salvini-Tajani, sempre in ordine alfabetico, attendendo pazientemente e prudentemente la fine dell’estate, l’autunno, l’inverno e forse anche la primavera dell’anno prossimo.  

Pubblicato sul Dubbio

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