Eppure il vento elettorale continua a soffiare sulle vele del centrodestra

Dalla prima pagina della Stampa

Per quanto “in tilt”, come lo rappresenta La Stampa per il pasticcio del decreto sul redditometro sospeso dalla premier Giorgia Meloni sconfessando il suo collega di partito e vice ministro dell’Economia Maurizio Leo, già soprannominato “Dracula” dagli amici, continua a soffiare il vento delle elezioni europee sul centrodestra.

Giorgia Meloni d’archivio col vice ministro Maurizio Leo

         Dall’ultimo sondaggio dell’Ipsos di Nando Pagnoncelli consentito prima del voto dell’8 e 9 giugno la Meloni porta a casa un 26,5 per cento che supera di ben 20 punti il risultato delle analoghe elezioni del 2019. E di mezzo punto quello delle elezioni politiche del 2022 assegnatosi prudentemente dalla premier come obiettivo di questo turno, consapevole delle difficoltà di una campagna elettorale rischiosa come quella in corso da ben prima del deposito dei simboli e delle liste. Il mese scorso lo stesso istituto di ricerca di Pagnoncelli le aveva assegnato due punti in più.

Antonio Tajani e Matteo Salvini

         Sempre dal sondaggio dell’Ipsos appena diffuso dal Corriere della Sera i forzisti di Antonio Tajani e i moderati di Maurizio Lupi escono col 9,2 per cento delle intenzioni di voto, inferiore al 10 su cui scommette nelle interviste e nei comizi il successore di Silvio Berlusconi ma superiore all’8,6 della Lega di Matteo Salvini. La cui caduta dal 34 per cento delle elezioni europee del 2019 -ventisei punti- è ancora più vistosa e clamorosa del salto della Meloni. Se ne vedranno i contaccolpi fra i leghisti dopo il 9 giugno. Ma solo fra i leghisti, essendo difficile immaginare conseguenze sulla tenuta della coalizione di governo, per quanto vi scommettano comprensibilmente le opposizioni.

Nicola Zingaretti

         Sul versante opposto il sondaggio dell’Ipsos ha assegnato un 22,5 per cento al Pd abbastanza consolante per la segretaria Elly Schlein, che riesce a distanziare di quasi cinque punti il capo delle 5 Stelle Giuseppe Conte. Che è il suo potenziale alleato nelle elezioni politiche ordinarie del 2027 ma oggi antagonista della corsa alla leadearship della cosiddetta area progressista autolesionisticamente conferitagli qualche anno fa dall’allora segretario del Nazareno Nicola Zingaretti: tanto autolesionisticamente da doversi poi dimettere e passare la mano ad Enrico Letta, richiamato da Parigi, Dove si era quasi rifugiato fuggendo da Matteo Renzi, che lo aveva detronizzato a Palazzo Chigi.

Conte nella vignetta di ItaliaOggi

         Oltre ai cinque punti di distacco dalla Schlein, l’ex premier Conte deve registrare in questi giorni, fra proteste e minacce di ritorsione neppure tanto velate, il colpo assestatogli dal commissario europeo Paolo Gentiloni, suo predecessore a Palazzo Chigi, rivelando la natura quasi cabalistica -più da algoritmo che da lotta durissima  nei vertici europei ai quali aveva partecipato da presidente del Consiglio- di quei duecento e rotti miliardi di euro ottenuti dall’Unione per il piano di ripresa dell’Italia dalla crisi pandemica del Covid. Quel naso alla Pinocchio allungatogli oggi nella vignetta di ItaliaOggi su fondo rosso non deve essergli piaciuto.

Le scommesse di Dario Franceschini sul….passato e sul futuro

Dal Dubbio

A leggere l’ex ministro Dario Franceschini sul Corriere della Sera, intervistato da Maria Teresa Meli, ci sarebbe una curiosa gara di autolesionismo fra lo stesso Pd e Giorgia Meloni. Il cui premierato, proposto al Parlamento con l’elezione diretta del presidente del Consiglio, sarebbe “devastante” per la maggioranza di centrodestra, è convinto il democristiano figurativamente più alto in grado rimasto al Nazareno.  “Un boomerang”, sottovalutato con incredibile leggerezza dagli alleati della destra, Matteo Salvini e Antonio Tajani, nell’ordine della loro attuale consistenza elettorale, e destinato ad esplodere alla fine della legislatura.

L’intervista di Franceschini al Corriere della Sera prima di intervenire al Senato

         Franceschini prevede che “la madre di tutte le riforme” voluta dalla Meloni arriverà al referendum di verifica nel 2026, un anno prima cioè del rinnovo ordinario delle Camere, quando di solito i governi in carica sono sfiniti, o quasi, e debbono solo aspettarsi di perdere le elezioni. Nessuno di quelli succedutisi negli ultimi trent’anni -ha calcolato Franceschini- è uscito indenne dalle urne. Non capisce, l’ex ministro, perché quello della Meloni, lo stesso di oggi o quello eventualmente rimpastato, debba o possa sottrarsi a questa regola di carattere ormai mondiale, e non solo italiano. Già, perché?

Franceschini e Conte d’archivio

         Perché forse -sospetta Franceschini- la premier pensa che le opposizioni continueranno ad essere divise, incapaci di farsi federare da qualcuno per contrapporsi al centrodestra. Invece, sempre secondo Franceschini, sarà proprio il bipolarismo connaturato nel premierato a fare il miracolo del Pd finalmente alleato col Movimento 5 Stelle, non importa se con Giuseppe Conte ancora leader e aspirante a tornare a Palazzo Chigi o un altro al suo posto, visto che i rapporti fra l’ex premier e il Nazareno sono appena peggiorati. Vi ha contribuito il commissario europeo, e piddino, Paolo Gentiloni contestando il merito attribuitosi per intero da Conte nell’aggiudicazione dei duecento e rotti miliardi della Ue a favore della ripresa italiana dopo il Covid.  

Franceschini e Renzi d’archivio

A parte queste ed altre polemiche, le cose per Franceschini saranno più forti delle persone. E mentre il tanto controverso campo largo si realizzerà la Meloni non potrà aspettarsi dal referendum sulla sua riforma un risultato diverso da quello ottenuto da Matteo Renzi nel 2016. E ciò pur senza commettere l’errore di Renzi di condizionare esplicitamente la sorte del governo a quella della riforma intestatasi.

Franceschini e D’Alema d’archivio

         Se le cose tuttavia stessero davvero come Franceschini le immagina, prevede e sciorina con la certezza quasi di un matematico, uguale a quella che  mette ogni volta che nel Pd si riacutizza la gara alla segreteria e lui scommette sul candidato, o la candidata destinata a vincere, come accadde l’anno scorso con Elly Schlein; se le cose, ripeto, stessero davvero come Franceschini le immagina, prevede e sciorina, non si si capisce per quale ragione al Nazareno siano tanto agitati, tanto mobilitati, tanto ossessionati dal premierato. Che pure la sinistra all’epoca della commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, nel 1997, prospettò  in una versione dichiaratamente, orgogliosamente “forte”: parola dell’allora relatore Cesare Salvi.

Franceschini ed Enrico Letta d’archivio

         Al Pd, senza strapparsi vestiti, capelli e persino barba, nel caso di Franceschini, potrebbe bastare e avanzare una riposante attesa, assecondando il presunto suicidio della Meloni. Invece la Schlein ha già prenotato per il prossimo 2 giugno la piazza romana del Testaccio. Dove partì peraltro la sfortunata corsa di Enrico Letta alla segreteria del Pd dopo le improvvise dimissioni di Nicola Zingaretti, sfiancato dalla suicida promozione di Giuseppe Conte, in tandem con Goffredo Bettini, al “più alto punto di riferimento dei progressisti in Italia”.

Giorgia Meloni

Fu una corsa sfortunata al Nazareno, quella di Letta junior rispetto all’anziano zio berlusconiano Gianni, perché sfociata nel 2022 nelle elezioni anticipate vinte dal centrodestra a trazione già chiaramente meloniana. Una vittoria reversibile quasi per algoritmo, secondo il forse troppo ottimista, fiducioso Franceschini. Che, autore anche di romanzi, oltre che politico, potrebbe questa volta sbagliare la trama. Chissà. C’è sempre una prima volta nella vita propria, o degli altri, a sorprendere tutto e tutti.

Pubblicato sul Dubbio

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