I professionisti dell’antifascismo come quelli dell’antimafia

Da Libero

Alla fine di un “intervento” del presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky su Repubblica di ieri si leggeva questa maliziosa, anzi maliziosissima domanda che porta, come vedremo, ad una clamorosa scoperta: “E’ un caso che chi non vuole dichiararsi antifascista sia lo stesso che, la Costituzione, vuole cambiarla?”.

         L’allusione è naturalmente alla proposta del governo di Giorgia Meloni, in primo esame al Senato, per l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Su cui lo stesso Zagrebelsky a botta calda cercò a suo tempo di scherzare -sempre su Repubblica- scrivendo che era stata tanto ben congegnata da poter superare anche un referendum. E incorrendo nella sottolineatura della natura ironica dell’articolo da parte dell’allarmato giornale ospitante.

Da Repubblica di ieri

Poi l’emerito, consapevole di potere scherzare con i fanti ma non i santi, ha via via argomentato e sviluppato la sua scomunica, sino alla domanda finale dell’intervento di ieri, preceduta peraltro da questa apodittica considerazione: “In fondo, antifascismo e democrazia coincidono e questa coincidenza ha la sua tavola fondativa nella Costituzione”. A cambiare la quale, quindi, si praticherebbe nella migliore delle ipotesi una democrazia “illiberale”, cioè un ossimoro, nella peggiore un “fascismo non d’altri tempi”. Che è poi il titolo dell’articolo appena sfornato da Zagrebelsky.

         Ebbene -ecco la clamorosa scoperta….dell’acqua calda- il penultimo articolo della Costituzione, il 138.mo, è quello che prevede, consente, disciplina, testualmente, “revisione della Costituzione e leggi costituzionali”.

Dalla Costituzione della Repubblica

         Ciò significa, nella logica del ragionamento del presidente emerito- ripeto- della Corte Costituzionale, che il diavolo fascista nel 1947, a fascismo già bello che sepolto, a liberazione già avvenuta e festeggiata da più di un anno mezzo, riuscì a infilarsi nella coda della Costituzione con un articolo dedicato proprio alla sua revisione, modifica, riforma, chiamatela come volete nell’italiano corrente. Non in quello manipolato da astuzie dottrinarie secondo le quali per modifiche di un certo peso il Parlamento non basterebbe, neppure col paracadute del referendum cosiddetto confermativo, ma occorrerebbe ricorrere ad una nuova assemblea costituente, come quella eletta nel 1946 con la nascita della Repubblica.

         Ah, il diavolo. Che scherzi è capace di fare muovendosi in camicia nera tra le fiamme dell’Inferno, pur immaginato di recente ottimisticamente vuoto da Papa Francesco. Un diavolo già cavalcato nella cosiddetta seconda Repubblica da Silvio Berlusconi e da Matteo Renzi nei loro passaggi per Palazzo Chigi ma ricacciato nelle fiamme dall’elettorato bocciando referendariamente le loro riforme.

La paura degli antifascisti di professione, come forse li chiamerebbe la buonanima di Leonardo Sciascia parafrasando quello che disse degli antimafiosi, è che questa volta, con la Meloni a Palazzo Chigi e con l’aria che tira nell’elettorato, il diavolo non venga respinto. Sarebbe per loro un bel guaio.

Enrico Berlinguer

         Sarebbe per gli antifascisti di professione -ripeto- un guaio simile a quello che fu per la Dc nel 1974 il referendum ordinario perduto contro la legge sul divorzio e nel 1985 per la sinistra non riformista, allora ancora dichiaratamente comunista, il referendum perduto contro il rallentamento della scala mobile dei salari effettuato dal governo di Bettino Craxi per fermare e fare retrocedere un’inflazione a due cifre che divorava i salari nella sostanziale indifferenza del maggiore sindacato italiano. Al quale Enrico Berlinguer, poco prima di morire, impose un ricorso all’elettorato temuto, senza nasconderlo più di tanto, anche dal disciplinato segretario Luciano Lama. Seguì l’anno dopo la vittoria del governo, sconfitto in poche località, fra le quali quella nativa dell’allora segretario della Dc Ciriaco De Mita: Nusco.  

         Il Berlinguer di cui sto scrivendo è naturalmente lo stesso della cosiddetta questione morale di cui la segretaria del Nazareno Elly Schlein ha appena fatto stampare la foto sulle tessere d’iscrizione di quest’anno al Pd.

Pubblicato su Libero

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Il generale Roberto Vannacci ribalta il Carroccio nella corsa alle elezioni europee

Dalla Stampa

Anche se un’esperta di comunicazione e di sondaggi come Alessandra Ghisleri sostiene sulla Stampa, pur non occupandosi specificatamente di lui, che “la candidatura vip non fa la differenza” nelle elezioni, si ha una certa difficoltà a credere che il generale Roberto Vannacci in corsa alle europee nelle liste della Lega, praticamente imposto da Matteo Salvini, non influirà sui risultati del partito già di Umberto Bossi nel voto dell’8 e 9 giugno. Che riguarderà il rinnovo del Parlamento comunitario di Strasburgo ma avrà ricadute anche di politica interna per i rapporti, in particolare, fra i partiti della maggioranza di centrodestra. Almeno i rapporti d’umore, o di competizione emotiva, con tutti gli effetti collaterali prevedibili anche sull’azione di governo, volente o nolente la pur risoluta premier Giorgia Meloni.

Da Repubblica

         Si ha una certa difficoltà a ritenere che il generale –“forte” ma “con idee deboli”, come ha scritto Concita De Gregorio su Repubblica- possa continuare ad essere per il suo mentore Salvini più una risorsa che un problema, visto il putiferio provocato anche all’interno della Lega con la sua sostanzialmente prima intervista da candidato, sin quasi a fare ribaltare il Carroccio.

Dal Corriere della Sera

         Di fronte alle proteste interne ed esterne per la proposta delle classi separate a scuola per i disabili, o per l’auspicata adozione di un animale come simbolo dell’Europa competitivo con l’aquila degli Stati Uniti o con l’orso della Russia, o per la qualifica di “statista” assegnata a Benito  Mussolini, sia pure non come il più grande del Novecento quale fu definito una trentina d’anni fa da Gianfranco Fini appena adottato come alleato da Silvio Berlusconi; di fronte alle reazioni a tutto questo, dicevo, Salvini ha pubblicamente incoraggiato il suo generale a proseguire. Cioè a continuare a sorprendere, sconcertare e quant’altro.

La vignetta del Fatto Quotidiano

         I giornali chissà che cosa dovranno inventarsi per tenersi al passo o addirittura superare i titoli di oggi: dalla “bufera” del Corriere della Sera alla “rivolta generale” del Secolo XIX, dal “tutti contro Vannacci” del Giorno, Resto del Carlino e Nazione alla “merda rimestata” -scusate la volgarità- del Fatto Quotidiano sotto la vignetta di Riccardo Mannelli. Che magari ne avrà fatte anche di peggiori ma oggi non si è proprio risparmiato nella specialità della sua testata.

Dal Giorno, Resto del Carlino e Nazione

         E pensare che siamo solo al 28 aprile. La campagna elettorale delle europee non è ancora formalmente cominciata, anche se i simboli dei partiti concorrenti sono stati tutti presentati al Viminale, compresi quello del Pd salvatosi dal nome della Schlein e quello delle 5 Stelle con la pace gridata contro la guerra che sarebbe sostenuta dagli altri. Quarantuno giorni, quanti mi sembra che manchino al primo dei due in cui si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo, sono lunghi da passare. E pesanti da digerire, visti gli antipasti.  

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