Polvere di partiti, come stelle, sulle elezioni europee di giugno

Voto in Basilicata

         Sulle votazioni regionali in Basilicata -si vedrà se e con quale ulteriore calo dell’affluenza alle urne, ormai cronico un po’ dappertutto negli appuntamenti elettorali- hanno prevalso le notizie tutte romane della presentazione dei simboli dei partecipanti al rinnovo del Parlamento europeo, fra meno di due mesi, e della preparazione delle candidature.

Giuseppe Conte

         Il più furbo pensa forse di essere stato Giuseppe Conte recandosi personalmente al Viminale per vantarsi di avere messo la pace -come parola- nel simbolo del Movimento 5 Stelle da lui presieduto. Come per dare dei guerrafondai, o comunque poco sensibili sul tema, a tutti gli altri. Ma soprattutto al Pd di Elly Schlein, già da lui rimproverata, in uno degli scontri che si inseguono da mesi, di non avere tolto al suo partito “l’elmetto” infilatogli dal predecessore Enrico Letta prima delle elezioni politiche anticipate del 2022: quando partecipò a suo modo alla difesa dell’Ucraina dall’aggressione della Russia di Putin. Conte invece proprio o soprattutto su questo aveva rotto non solo col Pd ma, nel proprio partito, con Luigi Di Maio ancora ministro degli Esteri. Che ne aveva denunciato i contatti con l’ambasciata russa in Italia, attivissima contro l’Ucraina, per attenuare e cercare addirittura di rovesciare la linea atlantista ed europeista del governo di Mario Draghi.

Michele Santoro

         Alla pace, ma anche alla terra e alla dignità, ha intestato le sue liste alle elezioni europee anche l’esordiente capo Michele Santoro, di cui chissà se e in che misura teme la concorrenza l’ex premier grillino, in subordine naturalmente a quella che in questo caso egli non subisce ma alimenta nei rapporti col Pd. Dove tuttavia è esploso il solito, mezzo putiferio apparentemente di metodo, ma in realtà di sostanza e persino di identità.

Romano Prodi

         La decisione della segretaria di candidarsi personalmente, pur col sostegno del presidente del partito ed ex concorrente alla segreteria Stefano Bonaccini, non ha trattenuto quella mezza icona che viene ancora ritenuta Romano Prodi dal rinnovare all’esterno il suo dissenso. Anzi, la sua protesta per lo scarso rispetto che si mostra per la democrazia candidandosi -come tuttavia fanno anche altri leader o leaderini di partito- ad un seggio cui si sa in anticipo di dovere rinunciare, solo nella presunzione di misurare la propria popolarità e di tirare la volata ad altri aspiranti all’euroseggio destinati a subentrare.

Dalla prima pagina del Corriere della Sera

         Ma oltre che sulla propria candidatura è scoppiato un caso al Nazareno per la volontà della Schlein di mettere il proprio nome nel simbolo delle liste del Pd. E anche ciò col consenso di Bonaccini, cui la segretaria ha concesso la postazione di capolista nella circoscrizione di cui fa parte la regione che lui presiede, cioè l’Emilia-Romagna. Dio mio, che vespaio. Impraticabilità di campo, ha raccontato in televisione Alessandro De Angelis, da Fabio Fazio

Ripreso da http://www.startmag.it

Scurati scambiato per il plurale di scurato e promosso fra i martiri della Meloni

Da Libero

Cerco di non cadere nella doppia trappola dell’oscuramento del quale Antonio Scurati si è sentito vittima, sostenuto naturalmente dai suoi tifosi letterari e politici, e del conseguente anti-oscuramento inscenato per riproporre una Rai in camicia nera. E per sottrarsi ad una ragionata contestazione che invece Scurati merita come romanziere, storico, saggista, opinionista e quant’altro sul modo di celebrare a cento anni di distanza, e a ridosso della festa di liberazione del 25 aprile, la tragedia di Giacomo Matteotti: l’uomo al quale Elly Schlein ha preferito Enrico Berlinguer, nel quarantesimo anniversario della morte, per intestargli praticamente il Pd. E stampare la fotografia dei suoi occhi sulle tessere d’iscrizione del 2024.

Da Libero

         Giacomo Matteotti, caro Scurati, fu ucciso materialmente dai fascisti, con la spavalda rivendicazione di Benito Mussolini in Parlamento, ma era già stato ferito metaforicamente a morte dai massimalisti con la sostanziale cacciata dal partito socialista affascinato dalla rivoluzione comunista. Egli era finito, con quella storia, in quella che non io ma Antonio Gramsci aveva definito “il semifascismo di Amendola, Sturzo, Turati”, da abbattere al pari del “fascismo di Mussolini e Farinacci”.

Walter Veltroni

         Sono parole, caro il mio o vostro Scurati, per chi le dovesse leggere senza condividerle, che ho preso in prestito da una recente recensione di Walter Veltroni, sul Corriere della Sera, del bel libro di Antonio Funiciello su Matteotti –Tempesta- pubblicato da Rizzoli.

Dal Corriere della Sera del 16 aprile

         “Per divisioni, riflessi ideologici, incapacità di analizzare e sceverare, di fare politica. Funiciello ricorda -si legge nella recensione di Veltroni, per fortuna restituito dalla politica al giornalismo, al romanzo, al cinema e a quant’altro- un discorso di Gramsci, che sarà anche lui vittima del fascismo, in cui tutto viene messo sullo stesso piano, indicando come obiettivo quello -appunto- di “abbattere non solo il fascismo di Mussolini e Farinacci, ma anche il semifascismo di Amendola, Sturzo, Turati”. E Giacomo Matteotti.  

         Di Veltroni e della sua recensione abuso, diciamo così, anche per ricordare di nuovo con lui che “Matteotti fu il primo segretario del Partito socialista unitario nato per l’espulsione dal Psi dei riformisti, accusati proprio di avere tentato un governo per impedire l’avvento di Mussolini. In quel partito -continua la recensione di Veltroni- si ritroveranno Pertini, Rosselli, Treves e Ferruccio Parri. Sarà il primo ad essere sciolto dal fascismo. Nel 1924, alle elezioni vinte plebiscitariamente dalla lista di Mussolini, il Psu riuscirà ad essere, anche se con il 5 per cento, il partito di sinistra più votato”.

Giacomo Matteotti

         Scusami, Walter, ma ti prendo in prestito anche questo passaggio successivo: “Ripensare Matteotti, come fa Funiciello, ci aiuta a capire, per ieri e per oggi, le tante occasioni perdute per dar vita a una sinistra riformista unitaria, capace di coniugare libertà e giustizia sociale”.  “Per ieri e oggi”, ripeto con Veltroni. Appartiene -ahimè- al passato meno lontano o più recente, come preferite,  il trattamento riservato fra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso dal Pci e sigle successive al socialismo riformista di Bettino Craxi. Del quale si preferì liberarsi cercando di mandarlo in galera, e facendolo morire in Tunisia da esule –-o “latitante”, secondo gli avversari e i magistrati- piuttosto che costruire con lui una sinistra unitaria e riformista dopo la caduta del comunismo.

Bettino Craxi

         Tutto questo può sembrare estraneo, o posticcio, al centenario della morte di Matteotti. Che c’azzecca, chiederebbe forse Antonio Di Pietro?,  pur distratto in questi giorni dai paragoni tentati da Giuseppe Conte fra la cosiddetta Tangentopoli del 1992 e la Baropoli, o Pugliopoli, di questo 2024 pur di ricavare vantaggi dalle difficoltà del Pd nella corsa al sorpasso in quello che lo stesso Conte chiama “campo giusto”, a prescindere dalla sua ampiezza. Invece c’entra, eccome.

La sede nazionale della Rai

La politica continua ad essere ostaggio, con le sue appendici letterarie o intellettualistiche, dell’ignoranza, della cattiva memoria e delle strumentalizzazioni. Come quella della Meloni pronipote di Mussolini e di tutto il resto, compreso quel certo mestierume che crede di difenderla o addirittura proteggerla nella Rai del cavallo purtroppo morente, pur nella sua possanza artistica.

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