Giuliano Ferrara fa barba e capelli agli inquilini della Repubblica di carta

Dalla prima pagina del Foglio

Fra il comitato di redazione della Repubblica, quella di carta e non del Quirinale presidiato dall’inquilino di turno eletto dal Parlamento secondo le modalità della Costituzione, e il fondatore del Foglio firmatosi con none e cognome, Giuliano Ferrara, scendendo dell’elefantino rosso che resiste da anni al suo peso, si è appena svolta una polemica che vale la pena raccontare perché smentisce come meglio non si potrebbe una doppia leggenda. Una è quella dell’editore puro, che lavora e guadagna solo del giornale di cui è proprietario, contrapposto all’editore impuro, che usa il proprio giornale per aumentare il suo potere contrattuale su altri mercati: dalla finanza alla manifattura.  L’altra leggenda, variante dell’editore puro, è quella del giornale che, vivendo solo delle copie che vende, sempre meno purtroppo da parecchio tempo, ha come suo editore questa volta purissimo semplicemente il suo lettore, in una unità immaginaria, neppure scomodatasi a costituirsi in condominio.

L’imponente testata fondata da Eugenio Scalfari

         La scintilla della polemica è stata la decisione del direttore di Repubblica, condivisa dal fondatore del Foglio, di mandare al macero centomila copie di un supplemento contenente un articolo sugli affari cui partecipa anche il suo editore non gradito, non utile, forse persino dannoso agli occhi e alla tasca all’interessato. Il comitato di redazione di Repubblica, reduce dalla sfiducia negata a larga maggioranza al direttore, ha degradato ad “anonimo”, inteso anche per vigliacco e derivati, un commento non firmato tra i vari che Il Foglio pubblica dal primo numero alla maniera inglese, ma anche americana. E ha cercato imprudentemente di dare una lezione direttamente a Ferrara, che ha risposto dandone a sua volta un’altra, nel nome del realismo, che è servita anche a smascherare il mito della cosiddetta questione morale generalmente attribuita come merito ad un incontro estivo del 1981 fra il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari e l’allora segretario del Pci Enrico Berlinguer. Una questione che da allora ricorre come una bandiera con la quale si combattono partiti avversari, e persino alleati ma pur sempre concorrenti. Essa domina le prime pagine dei quotidiani proprio in questi giorni.

Giuliano Ferrara sul Foglio di oggi

         Ebbene, Giuliano Ferrara ha ricordato agli smemorati critici del suo realismo “la tronfia libido scalfariana dell’editore puro, contro tutti gli altri impuri” che “finì notoriamente con la vendita di Repubblica al finanziere Carlo De Benedetti allo scopo di assicurare una dote alle figlie del Fondatore”, con la maiuscola. “Poi -ha raccontato ancora l’impertinente Tacito del nostro caso- è venuta la famiglia Elkann,  gli eredi Agnelli. Repubblica, cambiata tanto, è purtuttavia sempre la stessa con il passare degli anni, Puro o impuro, ha un editore” di cui non può fare a meno, in attesa del prossimo. Così è se vi pare, pirandellianamente.  

Il salto acrobatico da Enrico Berlinguer addirittura a Giuseppe Conte

Dalla prima pagina di Libero

Per onestà verso il pubblico, secondo la scuola di Indro Montanelli che lo considerava il suo unico editore, pur in una visione utopistica uguale a quella di Papa Francesco nella immaginazione di un Inferno vuoto, debbo riferire di un simpatico avvertimento fattomi dal direttore nell’accogliere la mia proposta di intervento sulla storia immorale della questione morale. Che molti fanno risalire, a torto o a ragione, al 1981 per via di un’intervista a Eugenio Scalfari in cui Enrico Berlinguer rivendicò la diversità, superiorità e quant’altro del suo partito per giustificarne il ritiro sia dall’originario progetto del compromesso storico con la Dc sia dalla variante della politica di solidarietà nazionale. Che gli era stata concessa nel 1976 dall’ancor vivo Aldo Moro per ammetterlo solo all’appoggio esterno a governi monocolori democristiani guidati da Giulio Andreotti.

Elly Schlein

         “I voti comperati vanno puniti”, mi ha all’incirca detto Mario Sechi. Certo, pur non tagliando le mani a chi li ha dati, e neppure a chi li ha presi, ma applicando le leggi che vigono nella nostra civile, anche se non civilissima Italia. Sono d’accordo, ho risposto al direttore che per età, frequentazione e comunanza di simpatie e antipatie considero più un figlio che un collega. Ma vorrei che si aspettasse di vedere provate le accuse con regolari processi e sentenze, naturalmente definitive come prescrive la nostra Costituzione, prima di trarne le conseguenze più o meno politiche. Quali sono quelle che avverto per aria, e letto pure da qualche parte, non solo e non tanto sulla lotta a cacicchi, capibastone e simili, reclamata da Giuseppe Conte per poter riprendere i suoi alterni rapporti col Pd di Elly Schlein, ma sulla opportunità di eliminare i voti di preferenza anche a livello locale.

         Una immorale gestione della questione morale sollevata nel 1981 da Berlinguer portò dopo una decina d’anni al referendum contro le preferenze alla Camera, dove ora si arriva nell’ordine in cui i segretari dei partiti mettono in fila davanti a Montecitorio i loro candidati, scrivendone direttamente o facendone scrivere i nomi dai sottoposti nelle liste.  Si è visto e si vede con quali risultati, non foss’altro in terminì di affluenza alle urne, se non vogliamo parlare della qualità del personale selezionato dai partiti e non più dagli elettori.

Mario Segni

So che a leggermi, se gli capiterà, il mio amico Mariotto Segni, protagonista di quel referendum, resisterà a fatica alla tentazione di darmi un appuntamento al ristorante solo per togliersi la soddisfazione di rovesciarmi addosso le pietanze per protesta. Ma resto convinto della insensatezza di quella riforma, alla quale altre non meno insensate sono seguite, come la riduzione dei parlamentari fine a se stessa, per il gusto delle forbici, non nel contesto di ulteriori innovazioni pur promesse, e rimaste nei cassetti, o finte nel cestino.

         Le questioni morali – sia quella già citata del 1981, sia quella gestita nel 1992 e anni successivi dalla Procura di Milano e appendici, sia quella rispolverata nella cosiddetta seconda Repubblica contro Silvio Berlusconi, sia quella in corso fra Bari e Torino, e chissà  quali e quante altre città prima che finisca di scrivere questo articolo e di vederlo pubblicato- stanno ormai alla politica italiana come il formaggio ai topi che si vogliono intrappolare.

Giuseppe Conte e l’ex pm Roberto Scarpinato

         Nel nostro caso temo, per lei, che si tratti principalmente di una topa, intesa come femmina del topo: la segretaria del Pd Elly Schlein. Della quale vogliono forse liberarsi sia parecchi amici di partito  -si fa per dire, come ai tempi della Dc-insoddisfatti della sua gestione, sia il suo concorrete esterno più diretto. Che è naturalmente  Giuseppe Conte, non a caso insorto per primo contro il presunto voto di scambio a Bari e dintorni per complicarle la vita.

Giuseppe Conte e l’ex pm Federico Cafiero De Rhao

         Debole di suo, e dichiaratamente, nel cosiddetto territorio, dove ormai un sindaco o presidente di regione può conquistarlo solo imponendo il proprio candidato ad un Pd rassegnato o intimidito, l’avvocato di Volturara Appula pensa forse di potere finalmente attecchire senza l’incomodo del voto di preferenza, in combinazioni fatte tutte a tavolino, in una riproduzione del gioco di Monopoli. Che casualmente è anche il nome di una popolosa cittadina della nostra Puglia.

Pubblicato su Libero

La gestione alquanto immorale della questione presuntivamente morale

Dalla prima pagina del Dubbio

Ci voleva -scusate il compiacimento- il nostro vascello garantista in un mare affollato di squali e di sommergibili armati al limite della sicurezza, e dell’auto-affondamento, per rompere il sinistro incantesimo dell’ennesima campagna contro la politica, e tutto ciò che può assomigliarle. E denunciare con un ben documentato e ragionato articolo di Errico Novi, sistemato al posto che meritava, cioè in apertura del Dubbio, l’abuso che ancora una volta si sta facendo della cosiddetta questione morale.

E’ un abuso peggiore di quello immediato di 43 anni fa, quando una famosa intervista estiva di Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari servì a vestire di un abito nobile che non meritava la ritirata, la fuga, la sconfessione -chiamatela come volete- dell’allora segretario del Pci dalla politica di cosiddetta solidarietà nazionale intrapresa nel 1976 con l’ancora vivo Aldo Moro come  surrogato del “compromesso storico” ancora più impegnativo, e inclusivo della partecipazione al governo con la Dc, che era stato teorizzato alle Botteghe Oscure dopo il fallimento dell’alternativa cilena di Allende, finita in un colpo di Stato e nel sangue.

Ridotto nei voti, autolesionisticamente privatosi di Moro, abbandonato dopo il sequestro alla ferocia delle brigate rosse, e intimidito dalla prospettiva di potere o dovere accettare, nella serie degli “strappi” da Mosca, anche il riarmo missilistico di una Nato superata dal Patto di Varsavia per via degli SS 20 puntati contro le capitali europee, il Pci di Berlinguer si arroccò nella sua “diversità” all’opposizione. E diede praticamente degli immorali a tutti gli altri, avversari o solo concorrenti, come aveva osato considerarsi il Psi di Bettino Craxi dopo la subordinazione teorizzata e per un po’ gestita da Francesco De Martino con la formula, o linea del “mai più al governo” con la Dc  “senza i comunisti” d’accordo.

Magliette di una trentina d’anni fa

Seguì l’abuso del biennio 1992-93, peraltro parallelo a quello delle stragi mafiose, quando tutto diventò o fu scoperto Tangentopoli, con tanto di cortei per le strade e di magliette inneggianti alle manette. Ma prima le gogne mediatiche e poi le condanne giudiziarie furono ben politicamente selezionate. E il “Craxi? Dunque colpevole” del libro del suo amico e avvocato Nicolò Amato divenne realtà certificata.

Il libro di Nicolò Amato sui processi a Craxi

Anche un viaggio regolare, con tanto di passaporto valido e legittimamente posseduto, verso la sua casa estiva in Tunisia, senza rubinetti d’oro o pezzi trafugati dalla fontana del Castello Sforzesco a Milano, divenne per Craxi evasione e latitanza. E le piaghe da diabete al piede al suo piede furono declassate in tribunale dall’allora sostituito procuratore della Repubblica Antonio Di Pietro a banali e pretestuosi “foruncoli”, o foruncoloni, esibiti o fotografati per sottrarre l’imputato alle udienze processuali e chiederne il rinvio.

Seguì ancora l’abuso della questione morale con Silvio Berlusconi, il cui esorbitante numero di processi tentati o avviati e condotti contro di lui era il segno più evidente e, direi, anche scandaloso di un’amministrazione della giustizia a carattere se non unicamente, almeno parzialmente persecutorio nei suoi riguardi.

Antonio Bassolino

Quello in corso è l’abuso così minuziosamente e onestamente descritto, come dicevo all’’inizio, da Errico Novi ieri sul nostro Dubbio, fra Bari e Torino, con tutti i richiami di storia e di cronaca messi al loro posto giusto, compresa la storia dei 17 processi condotti contro il supercacicco prodotto dalla fantasia dei magistrati Antonio Bassolino, casualmente inviso -diciamo così- allora a Massimo D’Alema.

All’ombra dei primi abusi della questione morale montò, fra l’altro, la campagna alla fine anche referendaria, e riuscita, contro i voti di preferenza per l’elezione dei deputati. Che ora arrivano alla Camera nell’odine in cui i loro partiti li candidano nelle liste bloccate. Non vorrei che all’ombra dell’ultimo abuso, quello in corso, si arrivasse all’eliminazione delle preferenze dove sono rimaste, a livello locale, in modo da uniformare il deserto della politica, anche in termini disastrosi di fuga dalle urne.

Già quello dell’astensione, e delle schede bianche e nulle, è diventato del resto il primo partito italiano: uno scenario nel quale riuscirà magari a Giuseppe Conte di superare il Pd, che mi sembra essere il suo obiettivo principale, almeno per il momento.

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 13 aprile

Blog su WordPress.com.

Su ↑