Una carica di 108 magistrati contro il test psicoattitudinale

La carica dei 101 al cinema nel 1996

I 108 magistrati, tra pensionati e in servizio, che hanno sottoscritto una lettera di protesta contro i test psicoattitudinali che fra due anni dovrebbero essere effettuati a carico delle toghe all’inizio della carriera sono sette in più della carica dei 101 cani dalmati approdata nelle sale cinematografiche nel 1961. Ed evocata dalle cronache politiche già nel 2013, quando tanti apparvero, pressappoco,  a prima botta i parlamentari che a scrutinio segreto affondarono come “franchi tiratori” la candidatura al Quirinale di Romano Prodi.

Romano Prodi

L’ex premier poi fece sapere di avere invece contati di suo molti più franchi tiratori per informazioni assunte direttamente o indirettamente presso i gruppi parlamentari formalmente contrari alla sua elezione ma in realtà attraversati da un bel po’ di persone ben disposte verso di lui sul piano personale, sino  a votarlo per supplire ai voti contrari che si sapevano in arrivo dai banchi soprattutto del Pd. Dove la rivolta contro Prodi era scoppiata per la fretta, quanto meno, con la quale il segretario Pier Luigi Bersani aveva cambiato candidato dopo la prima e unica votazione sfavorevole al presidente del partito Franco Marini, pur gradito -o proprio per questo- anche a buona parte, se non a tutto il centrodestra per la sua provenienza dalla sinistra democristiana del compianto Carlo-Donat Cattin. Che era stata fra le più anticomuniste delle componenti dell’ormai dissolto scudo crociato.

Sergio Mattarella

         Sette in più, dicevo, rispetto ai 101 cani della carica cinematografica, sono i firmatari della protesta contro il test psicoattitudinale sulle toghe inserito in un decreto legislativo delegato varato dal Consiglio dei Ministri e giù firmato peraltro dal presidente della Repubblica, nonché presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Che si deve ritenere non dico d’accordo ma quanto meno non del tutto contrario, perché altrimenti avrebbe fatto avvertire in qualche modo le sue riserve

Giovanni Leone e Giuseppe Saragat

         D’altronde, per quanto firmato dal capo dello Stato, il decreto ha un percorso ancora carico di incognite. Nei due anni prima della sua applicazione il test potrebbe essere, per esempio, impugnato davanti a un tribunale amministrativo per eccesso di delega, provenendo da una legge delega, appunto, che non ne conteneva esplicitamente il ricorso, chiesto invece dalle commissioni parlamentari competenti di cui il governo ha ritenuto di tenere conto. E questo per non parlare dello sciopero, dal quale sono tentate alcune parti del sindacato delle toghe. Dove tuttavia sembra che si sia per fortuna consapevoli, o si cominci ad esserlo, di quanto l’uso dello sciopero da parte dei magistrati, ritenuto “giuridicamente inammissibile” dai presidenti della Repubblica Giuseppe Saragat e Giovanni Leone, rispettivamente, nel 1967 e nel 1974 parlando al Consiglio Superiore di turno della Magistratura, abbia contribuito a ridurre il credito dell’ordine giudiziario presso l’opinione pubblica.

Ripreso da http://www.policymakermag.it

La difesa ad oltranza di Cafiero de Rhao da parte di Conte

Dal Dubbio

L’ultimo grido di dolore di Giuseppe Conte è stato a Pasqua, in una intervista a Repubblica, per difendere il vice presidente della Commissione parlamentare antimafia Federico Cafiero De Rhao, da lui portato in Parlamento nelle ultime elezioni, dagli “attacchi ignobili” che avrebbe ricevuto da esponenti della maggioranza per i dossieraggi, o simili, di Pasquale Striano, il sottufficiale della Guardia di Finanza di cui si è perso il conto delle intrusioni nei sistemi informatici finite poi sui giornali. “E’ di tutta evidenza -ha detto l’ex presidente del Consiglio- che gli accessi abusivi alle informazioni personali sono avvenuti al di fuori della Dna negli anni della sua gestione”: quella cioè di de Raho.

Giuseppe Conte e Dederico Cafiero De Raho

         Eppure è del 15 febbraio 2019, quando l’attuale parlamentare pentastellato era capo della Procura Nazionale Antimafia, questa valutazione scritta di De Rhao sul sottufficiale della Guardia di Finanza rivelata dal direttore della Dia Michele Carbone alla Commissione parlamentare antimafia poco prima dell’intervista di Conte: “Pasquale Striano ha evidenziato notevoli doti di riservatezza e lealtà, un’elevata ed approfondita preparazione tecnico professionale, piena disponibilità ed alto senso del dovere, instaurando ottimi rapporti interpersonali sia con i magistrati dell’ufficio che col restante personale amministrativo e delle forze di polizia”. Si vedrà anche se al di fuori di questo ambito, viste le indagini ancora in corso nella Procura di Perugia, dove la vicenda è approdata per la dipendenza del sottufficiale dal magistrato Antonio Landolfi operante a Roma.

Pietro Grasso alla Presidenza del Senato

         Si capisce, per carità la solidarietà politica di Conte ad un magistrato ch’egli personalmente ha voluto fare arrivare alla Camera all’esaurimento della sua carriera giudiziaria, come anche per Roberto Scarpinato, reduce dalla Procura Generale della Corte d’Appello di Palermo, sull’esempio di altri politici. Come fece, per esempio, Pier Luigi Bersani al vertice del Pd con Pietro Grasso, arrivato non solo al Senato ma direttamente alla presidenza, seconda carica dello Stato. direttamente alla presidenza del Senato. Dove, senza avvertire disagio alcuno, egli seguì Bersani anche nell’esodo dal Pd, in rotta con Matteo Renzi.

Sandro Pertini alla Presidenza della Camera

Alla buonanima di Sandro Pertini era bastata e avanzata una scissione -una delle tante- del suo partito socialista per dimettersi dalla presidenza della Camera e guadagnarsi la conferma, a quel punto voluta e non imposta ai deputati. Altri tempi, si dirà, anche se coperti dalla dannazione neroniana della memoria perché risalenti alla cosiddetta prima Repubblica. Tempi con i quali certamente non vorrà confondersi il successore di Beppe Grillo alla guida di un movimento propostosi di rivoltare il Paese, e le istituzioni,  come un calzino più di quanto non si fossero messi in testa  di fare i magistrati di Milano con l’inchiesta enfaticamente chiamata “mani pulite” sull’abituale, generalizzato finanziamento illegale dei partiti e, più in generale, della politica. Abituale, generalizzato ma colpito “con durezza senza uguali” nel caso del Psi di Bettino Craxi, secondo l’ammissione poi fatta al Quirinale da Giorgio Napolitano procurandosi anche per questo, ancora da morto, le critiche del solito Marco Travaglio ogni volta che cronache o rievocazioni gliene danno l’occasione.

Pubblicato sul Dubbio

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