Le docce gelate della politica, con tutto il freddo che fa

Fa freddo, almeno a sentire i meteorologi, ma la politica, che corre sempre contromano, rovescia docce gelate su chi la osserva, ma anche su chi la pratica. Come la presidente del Parlamento europeo, la maltese Roberta Metsola scambiata dal Corriere della Sera in prima pagina per la presidente del Consiglio europeo, che durante un suo viaggio in Italia si è vista rovesciare addosso la grandine oratoria del vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, scatenato contro l’Unione nelle mani dei massoni. Dei demo-giudaico-plutomassonici, avrebbe detto Benito Mussolini, di cui alla fine il leader leghista, con la piega che hanno preso i suoi comizi, rischia di contendere il ricordo anche ai fratelli d’Italia ancora ieri accusati da Ezio Mauro, su Repubblica, di esserne condizionati.

         Grandine deve essere caduta anche sul generale Roberto Vannacci e sui lettori entusiasti del suo “Mondo al contrario”. I quali non hanno fatto in tempo a festeggiare il suo ritorno in carriera come capo di Stato Maggiore delle forze terrestri, o come altro si chiama il diavolo del nuovo incarico, che hanno appreso non di una ma di due inchieste disciplinari a suo carico. Una è quella già nota del libro che gli ha procurato tanta notorietà quanti soldi. L’altra è quella appena rivelata da Repubblica sui suoi “anni in Russia”, fra il 2020 e il 2022, quando fu l’addetto militare all’ambasciata italiana a Mosca e maturò -dicono i malevoli- una certa simpatia per Putin e compagni. Che però lo cacciarono lo stesso dal loro paese come ritorsione per l’espulsione di alcuni diplomatici russi dall’Italia mentre maturava la crisi ucraina.

         Ritorsione per ritorsione, è apparsa tale a parecchi giornali, con tanto di titoli, anche la licenza per ragioni familiari presasi da Vannacci appena rimesso in carriera, e contemporaneamente più indagato di prima. Il ministro della Difesa Guido Crosetto – che continuo a sospettare, a torto o a ragione, di voler far passare al generale tentazioni politiche che potrebbero elettoralmente nuocere alla destra della premier Gorgia Meloni- si è affrettato a precisare che il generale aveva chiesto questa licenza già a novembre. Ma allora, signor ministro, non valeva la pena nominarlo capo di Stato Maggiore eccetera eccetera al termine della licenza? Non stanno scadendo termini per candidature a qualche tipo di elezione. L’alto ufficiale potrebbe al massimo candidarsi ad amministratore del suo condominio, se il suo alloggio ne ha uno.

         Non resta che ridere, una volta tanto, col vignettista del Fatto Quotidiano Mario Natangelo.  Che, senza cedere a tentazioni sessiste come fece a suo tempo con la sorella di Giorgia Meloni immaginandola  a letto con un migrante di colore, ha messo in concorrenza elettorale per “prendersi l’Italia”  Vannacci e il collega  Francesco Paolo Figliuolo, che però è dotato  di una stelletta più di lui perché giornale di corpo d’armata e non di divisione.  

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Solo ora è cominciato davvero il dopo-Berlusconi in Forza Italia

Il fondatore e unico presidente è morto il 12 giugno di quest’anno, il suo vice Antonio Tajani – nonostante i gravosi impegni governativi di vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, o proprio per questi- ne è diventato successore come segretario del partito il 15 luglio, affrettandosi a sottolinearne la provvisorietà con la convocazione del congresso a fine febbraio. Ma il vero post-Berlusconi in Forza Italia, non so se pure fuori, è appena cominciato col pubblico dissenso di Gianni Letta dalla riforma costituzionale del Premierato proposta dal governo come “la madre -parole di Gorgia Meloni- di tutte le riforme”. Compresa quella della giustizia, pur considerata prioritaria da parecchi forzisti ma che il presidente del Senato Ignazio La Russa ha consigliato, raccomandato, ammonito -come preferite- a posticipare perché l’elezione diretta del presidente del Consiglio la deve precedere, non seguire, e neppure accompagnare.

         La natura post-berlusconiana del dissenso dal Premierato espresso da Gianni Letta, già consigliere, sottosegretario, amico e quasi familiare dello scomparso ex presidente del Consiglio, è emersa in tutta la sua evidenza dall’imbarazzo provocato in Forza Italia, a cominciare da Tajani. Che, chiamatolo dopo qualche ora, non so se più rasserenato o ancor più insospettito e allarmato, si è sentito rispondere -secondo il racconto di Francesco Verderami sul Corriere della Sera– nel modo apparentemente più disponibile e umile: “Smentitemi pure”. Forse già gli bastava e avanzava il risultato raggiunto di “incassare, olimpico, i complimenti pubblici delle opposizioni e quelli privati delle istituzioni”, ha scritto sempre Verderami. Che con lo stesso Letta e, più in generale, con la sede romana di Mediaset ha sempre avuto buoni rapporti.

         Il dissenso dell’ex sottosegretario di Palazzo Chigi dall’elezione diretta del presidente del Consiglio è un po’ organico, direi, ai buoni rapporti ch’egli è riuscito ad avere durante la lunga esperienza politica di Berlusconi con tutti i presidenti della Repubblica succedutisi al Quirinale, anche con quelli le cui relazioni personali con Berlusconi sono state più difficili, a cominciare dal primo. Che fu il compianto Oscar Luigi Scalfaro, arrivato a dargli l’incarico di presidente del Consiglio, dopo la sorprendente vittoria elettorale del 1994, con una lettera davvero inusuale, in cui erano indicate sostanzialmente le linee programmatiche del nuovo governo. Poi sarebbe stato lo stesso Umberto Bossi a raccontare degli incoraggiamenti ricevuti al Quirinale quando lui da capo della Lega cominciò a scalciare contro Berlusconi sino a farlo cadere, a prescindere dalle difficoltà che avevano già cominciato a procurargli i magistrati della Procura di Milano.

         Gianni Letta è stato insomma al Quirinale più di casa di Berlusconi, tanto che questi lo avrebbe ben volentieri trasferito sul Colle se avesse potuto, e soprattutto se non avesse voluto lui stesso la voglia di andarvi, sino all’ultima corsa conclusasi con la conferma di Sergio Mattarella.

         Ebbene, secondo Gianni Letta l’elezione diretta del presidente del Consiglio avrebbe l’inconveniente non superabile in alcun modo di ridurre spazio, autorevolezza e quant’altro al Presidente della Repubblica eletto invece dal Parlamento, pur a poteri invariati sulla carta. “In teoria”, ha osservato Tajani in uno sforzo massimo di comprensione, non di condivisione. E così mi pare anche la Meloni.

         Ma in Forza Italia, con Berlusconi ancora vivo, nessuno si sarebbe spinto a parlare del Letta anti-premierato come ha fatto, rispondendo al Fatto Quotidiano, il presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera Nazario Pagano: “E’ un uomo Mediaset. Fa parte del gruppo industriale che fa capo a Berlusconi. Non ha mai avuto un ruolo di partito”. Cui in effetti Gianni non aveva bisogno di iscriversi per consigliare, assistere e quant’altro il capo a gestirlo, anche nei passaggi delicatissimi della formazione delle liste dei candidati alle elezioni. Sempre un passo indietro formalmente a Berlusconi, ma come il mitico Talleyrand con tutti i sovrani di Francia succedutisi sotto di lui. 

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 16 dicembre

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