La crisi dell’Onu ha ora il volto del suo segretario generale Guterres

         Ora ha anche un volto -quello del suo segretario generale Antonio Manuel de Oliveira Guterres, portoghese di 74 anni, per un po’ esule in Italia negli anni della dittatura nel suo Paese- la crisi morale, e non solo politica, dell’Onu. Che è inerme di fronte ad ogni conflitto in cui sono in gioco gli interessi di qualcuno dei paesi che hanno il diritto di veto -o di vetro, come titola il manifesto- nel Consiglio di Sicurezza.

         Ciò che questo signore ormai imbolsito ha raccontato parlando della guerra in Israele provocata dall’ultimo eccidio dei terroristi palestinesi di Hamas appartiene al “mondo alla rovescia” non del generale Roberto Vannacci, ma di Paolo Mieli nel titolo del suo editoriale di oggi sul Corriere della Sera. Dove si considera giustamente “un’enormità dall’innegabile sottinteso giustificazionista” la lingua e il dito puntati da Guterres, dopo gli eccidi terroristi in terra israeliama del 7 ottobre scorso, contro “i 56 anni di soffocante occupazione israeliana” e di violazioni, sempre da quella parte, del diritto umanitario.

  Eppure, nonostante il sospetto che alla luce di questo giudizio possano “apparire insincere” le parole di rammarico e deplorazione degli eccidi -ripeto- del 7 ottobre, e dei duecento ostaggi portati dai terroristi nei tunnel di Gaza, Mieli ha trovato “un eccesso di precipitosità” la richiesta delle dimissioni di Guterres avanzata dal delegato d’Israele. Siamo quasi al “ripudio dell’Onu” gridato con disapprovazione da Piero Sansonetti sull’Unità, che sempre di meno merita quella specie di scomunica levatasi, al suo ritorno in edicola, dai figli di Enrico Berlinguer, infastiditi anche o soprattutto dalle fotografie del padre riproposte ai lettori dal direttore.

         Cos’altro poteva fare e dire il delegato d’Israele, caro Mieli, dopo avere visto e sentito il segretario generale delle Nazioni Unite “giustificare”, come tu stesso hai convenuto, il terrorismo di Hamas? Che peraltro nuoce ai palestinesi, con l’aria di volerli difendere, ancor più che agli israeliani.  La protesta e la  richiesta di dimissioni di Guterres erano il minimo, non il massimo che ci si potesse aspettare. E se non servirà a rimuoverlo o a convincerlo alla rinuncia peggio sarà per le costosissime Nazioni Unite. Che affondano nelle sabbie di Gaza come in Ucraina, da dove, grazie anche a ciò che il segretario generale dell’Onu dice d’Israele, lo sciagurato Putin è riuscito a distrarre l’attenzione pubblica.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

La resa a Foggia del Pd della Schlein a Giuseppe Conte

Come nei bollettini di guerra di Benito Mussolini, la cui sola evocazione dovrebbe impensierire la baldanzosa segretaria del Pd Elly Schlein, i sostenitori del cosiddetto campo largo, esteso dallo stesso Pd al Movimento 5 Stelle, alla sinistra gialloverde e cespugli vari, si sono attestati su una nuova linea difensiva dopo il turno elettorale di varia natura di domenica scorsa: dalle suppletive di Monza per il Senato alle provinciali di Trento e di Bolzano e alle comunali di Foggia.

         E’ proprio a Foggia che si è attestata come in un fortino la linea difensiva del campo largo, anzi larghissimo: tanto largo, con le dieci liste di sostegno alla sindaca che è stata eletta al primo turno, da essere di improbabile riferimento altrove. Dove volete, per esempio, che potranno o vorranno trovarsi di nuovo insieme l’Azione di Carlo Calenda e l’Italia dei Valori di Matteo Renzi? Una coppia che più scoppiata non potrebbe essere. Non le terrebbe testa neppure quella di Giorgia Meloni e Andrea Giambruno asfaltata da Antonio Ricci con i fuorionda della sua “Striscia la notizia” fra lo stupore dei capi e sottocapi di Mediaset sempre più difficile da prendere sul serio. Cui chissà se riuscirà a mettere una pezza il solerte Adriano Galliani appena rimandato al Senato con 67.801 voti di brianzoli sottrattisi ad un astensionismo di circa l’ottanta per cento dell’elettorato. Voti fra i quali Galliani può vantarsi di aver potuto contare anche quello di Marta Fascina, una volta tanto uscita dal ritiro quasi vedovile di Arcore per contribuire alla successione parlamentare del suo Silvio Berlusconi.

         Oltre che troppo largo per essere esportabile o soltanto credibile, il campo sperimentato a Foggia è più di Giuseppe Conte che di ogni altro. Sua è stata la presenza più attiva nella campagna elettorale, da specialista della zona com’è per la sua provenienza dalla vicinissima Voltura Appula, che era una volta terra di avvoltoi, dal cui nome latino prese il nome. Sua, sempre di Conte, è la bollinatura della candidata a sindaco accettata da tutti gli altri, o a tutti gli altri imposta: la sessantenne dirigente scolastica Maria Aida Tatiana Episcopo.

 Non solo quindi, il Pd della Schlein nella capitale del tavoliere pugliese -13,66 per cento contro 12,32-  si è fatto quasi raggiungere dal Movimento 5 Stelle, che gli è indietro di solo un punto e qualcosa, ma ne ha subito la candidata senza alcun imbarazzo.

         Suo, sempre di Conte e del Movimento che presiede, è paradossalmente anche il contributo del Pd alla vittoria elettorale. Più ancora di Francesco Boccia, che guidò la campagna congressuale della Schlein ricavandone poi la carica di capogruppo al Senato, è contato nel Pd a favore della sindaca grillina il lavoro del governatore pugliese Michele Emiliano. Che a Bari – scusate la malizia- sta un po’ alla Schlein come a Napoli il governatore campano e compagno di partito Vincenzo De Luca. Di cui   è appena uscito un libro in cui il partito del Nazareno ha rimediato del “demente” e del “cafone”: un partito “nonostante” il quale De Luca ha scritto di riuscire a governare la sua regione.

         Di questo passo e in questo clima la Schlein si è attestata, ripeto, sulla sua nuova linea difensiva nella guerra che l’imprevista elezione a segretaria grazie all’apporto degli esterni, non ha spento ma inacidito.

Pubblicato sul Dubbio

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