E’ tempo purtroppo di coperte corte e di storie dolorosamente lunghe

         E’ tempo purtroppo di coperte corte, mentre peraltro torna il freddo, o va via il caldo, e di storie lunghe.

         E’ corta, ad esempio, per rimanere nei nostri angusti confini nazionali, la coperta della legge finanziaria appena varata dal governo: sia nella versione di 24 miliardi del Corriere della Sera sia in quella di 28 dello specializzato Sole 24 Ore e di altri giornali. Aumenta il debito ma non si riduce di altrettanto il disagio sociale, a dir poco, che la stessa premier Giorgia Meloni riconosce ma spera di diminuire più avanti, comservandole le opposizioni, con le loro divisioni e le loro inconsistenze, una prospettiva di governo quinquennale, quanto la durata ordinaria della legislatura uscita dalle urne del 2022 .Non è una manovra da lacrime e sangue ma da pizza e funghi, si dicono inseguendosi un immaginario ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti -penso- e la presidente del Consiglio nella vignetta impietosa  di  Stefano Rolli sul Secolo XIX.

         Stanno diventando corte, ancora più drammaticamente oltre i confini, le coperte degli ucraini per proteggersi dai russi di Putin e degli israeliani per difendersi dai terroristi di Hamas che li hanno attaccati. Più passano i giorni, più si ammassano truppe e carri armati d’Israele attorno alla cosiddetta striscia di Gaza, da cui cercano di scappare i palestinesi da sempre usati come scudi umani dai terroristi che vogliono far credere di difenderne i diritti; più cresce a Tel Aviv e a Gerusalemme la voglia di “tagliare la testa al serpente”, come scrive e titola Mario Sechi su Libero, più gli alleati americani mostrano di temere il cosiddetto allargamento del conflitto pur previsto inviando due delle loro portaerei più potenti davanti alle coste del Medio Oriente per proteggere quell’avamposto occidentale che è lo Stato ebraico. Domani sarà il presidente  Joe Biden in persona a completare l’opera del suo Segretario di Stato sul posto e a correre da Nethanyau per “provare a frenarlo”, titola con speranza l’Unità.

         Se la coperta si accorcia, o mostra di accorciarsi, la storia dell’antisemitismo e antisionismo, messi giustamente sullo stesso piano dal compianto Giorgio Napolitano, si allunga. Come quell’ombra che Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera proietta efficacemente fra il carnefice e il bambino ebreo romano mandato a morire nel 1943 col rastrellamento del ghetto, meno lentamente ma non per questo meglio dei bambini sgozzati il 7 ottobre scorso nelle culle dai “nuovi nazisti”. Così Il Foglio chiama giustamente i terroristi palestinesi di quel 7 ottobre scorso in territorio israeliano e quelli più o meno dormienti in Europa, magari accanto a noi in un autobus, non necessariamente davanti ad una sinagoga ben protetta. Come forse eri a Bruxelles si sentivano protetti i due assassinati per strada dall’emulo dei terroristi che proprio da lì partirono 8 anni fa per la strage parigina al Bataclan.

         La storia è lunga, ripeto. Spero che la memoria non si accorci una  coperta.

Ripreso da http://www.policymakermag.it

Giuseppe Conte canta con Gino Paoli contro l’elmetto

Più di un casco di sicurezza da cantiere, magari in uno dei tanti ancora aperti per il rifacimento delle facciate dei palazzi, di cui egli va particolarmente fiero a dispetto di tutti i buchi che lo accusano di avere procurato alle finanze pubbliche, non riuscirete mai a far mettere sulla testa a Giuseppe Conte. L’ex premier, e ora presidente solo di quel che rimane del Movimento 5 Stelle, non vuole neppure sentir parlare di elmetti. Vi sembra anche fisicamente allergico come Gino Paoli che cantava: “Quando si va in guerra c’è l’elmetto che si mette proprio sulla testa. Ci vuole una testa fatta apposta, fatta un po’ diversa dalla mia”.  Si chiamava “all’est niente di nuovo” quella canzone che dev’essere molto piaciuta all’ex presidente del Consiglio.  

Qualche giorno fa, preso fra la vecchia guerra ormai in Ucraina, scoppiata quando lui per fortuna non era più a Palazzo Chigi ma era rimasto nella maggioranza mandando Luigi Di Maio al Ministero degli Esteri, e quella nuova -l’ennesima- cui è stata costretta Israele dall’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, Conte ha detto che “Il Pd non s’è ancora tolto l’elmetto”. E ha seminato di altri chiodi il terreno del “campo largo” che già gli aveva procurato “l’orticaria” e la nuova segretaria del Nazareno Elly Schlein vorrebbe invece comporre o ricomporre con lui dopo la rottura del suo predecessore Enrico Letta.

         Di certo quest’ultimo al casco non credo che sia diventato allergico. Quella vecchia foto che lo ritrae in tenuta semi-militare scendendo da un elicottero della Difesa lo inchioda in qualche modo all’immaginario di Conte. Che ogni tanto intravvede quel casco anche addosso a chi ne ha preso il posto alla guida del Pd. Dove forse sono rimasti ancora troppi dirigenti dei quali il presidente grillino avrebbe desiderato vedere l’uscita con l’arrivo della Schlein, tipo l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini ora presidente del Copasir. Se ne sono invece andati altri di tono o peso considerato minore, a torto o a ragione.

         Il direttore in persona di Repubblica, Maurizio Molinari, volendo fiduciosamente dimostrare l’esistenza di una “Italia bipartisan di Meloni e Schlein” alle prese con le guerre che vanno “dall’Ucraina a Gerusalemme”, quando sotto il titolo dell’editoriale ha dovuto fare i nomi dei dirigenti del Pd espostisi con maggiore chiarezza ha dovuto fermarsi, limitarsi e quant’altro a quelli di “Beppe Provenzano, responsabile esteri, e Lorenzo Guerini. Così come scrivendo degli uomini del centrodestra ha dovuto fermarsi al ministro forzista degli Esteri Antonio Tajani e al ministro della Difesa, e fratello d’Italia, Guido Crosetto, senza neppure allungare lo sguardo al Carroccio di Matteo Salvini.

Nella Lega sotto sotto -nonostante la partecipazione dello stesso Salvini alle proteste per la presenza di un ex terrorista rosso al corteo anti-israeliano a Milano, e la sua polemica con la ministra spagnola Irene Montero per il presunto scarso impegno contro Hamas-  si è forse tentati a riconoscersi più con Conte che con Tajani, come ai vecchi tempi della maggioranza gialloverde, fra il 2018 e il 2019. Prima che il capo del Carroccio, inebriato dal 34 e più per cento di voti appena raccolti nelle elezioni europee, perdesse un po’ la testa al mare e reclamasse i pieni poteri tramite un rapido passaggio elettorale. Di cui però si era dimenticato di accertare il primo presupposto: la disponibilità del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a sciogliere le Camere anticipatamente. L’altro presupposto era la disponibilità vera del Pd alle elezioni, non quella a parole dell’allora segretario Nicola Zingaretti, improvvisamente convinto dall’ancora compagno di partito Matteo Renzi a cambiare idea e a consentire a Conte un cambio di governo e di maggioranza.

         A parte la presunta o vera “Italia bipartisan di Meloni e Schlein dall’Ucraina a Gerusalemme”, che secondo Molinari “rafforza la credibilità internazionale dell’Italia”, per tornare a Conte e alla sua allergia tipo Gino Paoli all’elmetto bisogna stare attenti ad attribuirgli debolezze o altro di simile verso il terrorismo palestinese di Hamas. Il capo della comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi ha appena dovuto scusarsi pubblicamente per avergli dato dell’antisemita, risparmiandosi così una querela già annunciata. Ma per una diabolica coincidenza quel 18 per cento di disponibilità al voto attribuito ai “solidali” con Hamas da un sondaggio di Noto citato dal direttore di Repubblica verso la fine delle sue considerazioni è di poco più di un punto superiore al 16,9 attribuito al Movimento 5 Stelle dall’ultimo sondaggio Ipsos. O al 16,5 dell’ultimo sondaggio Swg. Coincidenza, ripeto, diabolica, come solo la politica sa riservarne.

Pubblicato sul Dubbio

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