Scusatemi la franchezza che manca a lor signori, come la buonanima di Fortebraccio chiamava ai tempi d’oro dell’Unità, organo ufficiale del Pci, scrivendo di quelli che non gli piacevano, saldi nel potere e nella ricchezza. Ma più vedo le foto degli incontri fra Trump e Zelensky, in varie località e modi, dalla Casa Bianca alla Basilica di San Pietro e ora nella residenza privata del presidente americano, dalle porte che sembrano monumenti funerari, più penso al gatto e al topo. Il primo è naturalmente Trump, il secondo Zelensky, che finge sempre meglio la soddisfazione di essere scampato alla caccia di turno stringendo mani, sorridendo ai fotografi e alle telecamere e telefonando poi agli amici di vertice dell’Unione Europea per rinnovare richieste di aiuti necessari a sopravvivere anche al turno successivo di questa partita senza fine.
Trump invece prima e dopo l’incontro appunto avuto con Zelensky, al quale è riuscito a fare indossare una giacca, sia pure di taglio anch’esso militare, al posto della solita, vecchia tenuta d’ordinanza, ha telefonato a Putin. Che è il gatto a distanza, quello di riserva o complementare, al quale manca sempre qualcosa per ritenersi appagato dei quattro anni di guerra aperta contro l’Ucraina come “operazione speciale”. E continua ad ordinare o a lasciare ordinare ogni giorno che passa, anche quello di Natale e prossimo di Capodanno, sventagliate di missili e droni contro obiettivi civili della “martoriata Ucraina” di definizione pontificia. Ma Trump ha ricordato, per attenuarne o giustificarne la portata, i missili, i droni e gli attentati ricambiati dagli ucraini, ostinati nella difesa pur non disponendo più di Biden alla Casa Bianca ma facendo affidamento sui vertici europei che non lo mollano.
Non è, francamente, uno spettacolo esaltante, anche se qualcuno continua ottimisticamente a sentirsi sempre alla vigilia dell’accordo con quel 5 per cento, poco meno o poco più., che manca sempre almeno a una tregua.