E viva l’elogio della corruzione fatto da Giuliano Ferrara sul Foglio

         Tanto tuonò che piovve. E Giuliano Ferrara è sbottato nel turchese del suo Foglio con quel “viva la corruzione” che forse si sarebbe dovuto gridare anche una trentina d’anni fa a Milano e poi in tutta Italia. Ma quasi nessuno osò di fronte all’abuso della lotta alla corruzione superiore, per gravità e consistenza, alla corruzione contestata quasi per principio, per presupposto logico, a chi praticava l’uso ormai generalizzato, e a lungo tollerato dalla magistratura, del finanziamento irregolare, o illegale, dei partiti e, più in generale, della politica.

         Il fondatore del Foglio è sbottato di fronte al caso di Federica Mogherini, arrestata e rilasciata dopo 12 ore di interrogatorio a Bruxelles per una presunta frode nella guida e nella gestione della scuola di formazione dei diplomatici europei affidatale cinque anni fa dopo altrettanti trascorsi come alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e di sicurezza.

         Ancora oggi, sempre a Bruxelles, nei cui uffici giudiziari sembra che si parli un italiano corrente, è ancora al palo o, all’opposto, in alto mare il famoso “Qatergate” esploso tre anni fa, con l’arresto della vice presidente greca del Parlamento europeo Eva Kaili e del suo già assistente e poi anche compagno Francesco Giorgi. Ora, sempre per quella vicenda che era scomparsa dall’orizzonte delle cronache giudiziarie e politiche, rischia la perdita dell’immunità l’eurodeputata del Pd Alessandra Moretti. Magari per essere anche lei interrogata e rilasciata nella botola del silenzio.

         La corruzione a Bruxelles, come quella in Ucraina, che ha mandato al fronte piuttosto che in galera il più stretto collaboratore del presidente Zelensky, viene sfacciatamente cavalcata da Putin nella scuderia del Cremlino per gestirsi da solo col presidente americano Donald Trump la cosiddetta pratica della “pace”, fra virgolette, nel paese da lui invaso quasi quattro anni fa per “denazificarlo” in due settimane.

         Siamo davanti ad uno spettacolo, scenario e quant’altro di corruzione quanto meno della logica e dei rapporti di forza addirittura nella ricerca di nuovi equilibri internazionali dopo l’esaurimento di quelli stabiliti a Yalta un’ottantina d’anni fa a conclusione della seconda guerra mondiale.

         Personalmente preferisco, con Giuliano Ferrara, in un gioco infernale di paradossi, i presunti corrotti a chi ne abusa senza alcuna presunzione, ma con una evidenza rivoltante.   

L’eterno “principe ereditario” Pier Ferdinando Casini, 70 anni appena compiuti

         Indicato, registrato, elogiato, sfottuto, secondo le varie sensibilità, come “principe ereditario” e “Quirinabile” da Carmelo Caruso sul Foglio in una cronaca dalla Sala Regina della Camera affollata di personalità, a cominciare dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per una celebrazione del compianto Giorgio Napolitano e dei suoi discorsi finalmente raccolti, il decano del Parlamento Pier Ferdinando Casini è quasi asceso in cielo da vivo.

Egli è stato visto felice come una Pasqua fuori stagione, reduce peraltro a insaputa di tutti da una lunga e assai gradevole intervista strappatagli senza fatica, credo,  per il Corriere della Sera da Fabrizio Roncone in onore del suo -di Casini- settantesimo compleanno. Se non giovane anzianotto, come la buonanima di Amintore Fanfani definiva i quarantenni ancora iscritti e dirigenti del movimento giovanile della Dc, da lui perciò commissariato, se non addirittura sciolto, Casini è un giovane Decano, ripeto ma con la maiuscola.

“Bello” come lo definiva il suo allora capocorrrente Antonio Bisaglia per distinguerlo o affiancarlo all’”intelligente” Marco Follini, sempre insieme anche in nuovo partito dopo la Dc, e nella cosiddetta seconda Repubblica, sino ad una separazione sofferta politicamente da entrambi, che adesso si salutano e apprezzano a distanza, ogni volta che l’uno è insidiosamente chiamato a parlare dell’altro, Casini ha sempre un consiglio da dare, un ricordo da proporre, una vicenda da illuminare con luce diversa dal solito, una preoccupazione da esprimere, una situazione da rimpiangere. E una performance da rivendicare.

Sentite che cosa ha risposto l’ex presidente della Camera e quasi senatore a vita Casini a Roncone che gli ricordava ieri di “avere sfiorato nel 2022 il Quirinale”, dove tutto era apparecchiato sino a quando “non sparecchiò Salvini” spianando la strada alla conferma di Mattarella. “Sa cosa ricordo con emozione di quei giorni?”, ha chiesto a sua volta Casini a Roncone. “L’applauso -si è risposto- che i grandi elettori mi tributarono quando poi feci ingresso nell’aula durante lo spoglio finale…Mattarella, Mattarella…”.

         “Fu l’onore delle armi”, ha chiosato Roncone. Ma al suono, non rumore, delle armi Casini ha risposto ricordando: “La mattina dopo mi svegliai presto, contento di potermi fare la solita camminata veloce a Villa Borghese….però appena arrivo lì, noto un gran trambusto   di corazzieri che stanno facendo le prove proprio per la cerimonia d’insediamento del nuovo”, cioè confermato, “capo dello Stato”. “Li guardo -ha raccontato ancora Casini-con un pensiero un po’ ironico. Perciò, quando un ufficiale s’avvicina per salutarmi, gli sussurro: beh, io l’ho presa bene….ma così forse è un po’ troppo”.

Grande, grandissimo Pier Ferdinando. Se il Parlamento italiano non avesse avuto la fortuna di trovarlo, avremmo dovuto un po’ tutti procurarglielo. Buon compleanno, Pierfurby.

In Procura a Bruxelles ormai si parla correntemente in italiano….

Avverto francamente, almeno per ora, più fumo che arrosto nelle notizie provenienti da Bruxelles, peraltro nel secondo anniversario, cioè tre anni dopo, del cosiddetto “Qatergate”. Che costò la carica e altro ancora alla giovane vice presidente greca dell’Europarlamento Eva Kajli, finita in carcere come l’assistente e compagno italiano Francesco Giorgi sotto l’accusa di corruzione, fra sequestri anche di sacchi di soldi distribuiti presuntivamente, direttamente o indirettamente dal Qatar, appunto, per sostenere la sua candidatura ad ospitare le Olimpiadi del 2036. 

         Ho appena consultato la solita Wikipedia, in mancanza di un archivio giudiziario internazionale accessibile con i miei modesti mezzi, e non ho trovato traccia di una conclusione di quello scandalo che sembrò avere scosso l’intero Parlamento europeo, ma più in particolare la componente o appendice italiana per il coinvolgimento del già citato Giorgi, dell’europarlamentare del Pd Andea Cozzolino  e dell’ex Antonio Panzeri, del partito allora chiamato “Articolo uno”,  fondato da Bersani, D’Alema, Speranza ed altri usciti dal Nazareno per protesta contro Matteo Renzi. Non ho trovato traccia – ho letto poi in qualche cronaca- semplicemente perché non ce ne sono, essendo l’inchiesta ancora al palo. O quasi, comunque sommersa dalla polvere in qualche anfratto.

         Il turno questa volta è toccato agli italiani, per fortuna non parlamentari, Federica Mogherini, Stefano Sannino e Cesare Zegretti, rispettivamente rettrice del Collegio europeo di formazione diplomatica, ambasciatore e manager. Fermati, arrestati e quant’altro sotto l’accusa di corruzione, conflitto d’interessi e altro per una gara sospetta di forniture.   

         I “soliti italiani”, ho letto in titoli e cronache di casa nostra. E deve avere pensato a Mosca anche la portavoce del Ministero degli Esteri, che tuttavia nell’intingervi il biscotto ha preferito mettere nel mirino l’intera Unione Europea in questa congiuntura internazionale. In cui per la guerra in Ucraina in corso da quasi quattro anni è proprio l’Unione Europea, più degli Stati Uniti, la controparte maggiormente scomoda  e odiata dal Cremlino.

         Non conosco personalmente Federica Mogherini, 52 anni compiuti a giugno, già ministra degli Esteri d’Italia e “alto rappresentante” della Commissione Europea per gli affari internazionali e la sicurezza. Mi fido però della rappresentazione fattane sul Riformista di Claudio Velardi da Aldo Torchiaro. Che ha scritto, testualmente e solidarmente in un editoriale: “L’ex dirigente della Federazione Giovanile Comunista e della Sinistra Giovanile, cresciuta a pane, Gramsci e Napolitano, è oggi un’apolide della politica. Nel Pd che l’aveva promossa a massima autorità della politica internazionale europea Mogherini è oggi misconosciuta. Non risultano suoi contatti di alcun tipo con Elly Schlein e con la segreteria del Nazareno. Apprezzata da Massimo D’Alema prima, da Enrico Letta poi e infine da Matteo Renzi, Mogherini ha conosciuto un precipitoso tramonto. Ed è stata confinata nella gabbia dorata del College d’Europe senza più una interlocuzione politica attiva con il centrosinistra italiano. Del nuovo campo largo, per capirci, non aveva il numero di telefono”. E neppure l’indirizzo.

         Mi scuso con Torchiaro, il suo direttore e il mio del saccheggio che ho fatto del suo racconto della rettrice del College d’Europa al secondo anno del suo secondo mandato, voluto personalmente dalla presidente della Commissione di Bruxelles Ursula von der Leyen con le procedure dovute, per quanto contestate da qualche parte.

         Mi scuso infine con i lettori del sospetto che ho -malizioso di scuola rigorosamente andreottiana- che alla Procura federale belga e dintorni si parli, per tempi, metodi e modalità d’indagini, l’italiano giudiziario. Forse anche un po’ più spinto. Che è tutto dire.

Pubblicato su Libero

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