In attesa di distrarci con i risultati delle elezioni regionali in Veneto, Puglia e Campania, già contrassegnate comunque da un aumento dell’astensionismo, continuiamo ad occuparci di Trumputin e del suo piano di pace in Ucraina, Che è stato definito giustamente dai critici, non cinematografici, una “proposta indecente” per i troppi vantaggi che ne ricaverebbe la Russia tre anni e mezzo dopo un’aggressione che col nome di “operazione speciale” avrebbe dovuto concludersi in una quindicina di giorni con la capitolazione e l’assassinio o la fuga all’estero di Zelensky.
Il presidente ucraino sarebbe tuttora per il Cremlino un nazista travestito . E, già trattato una volta alla Casa Bianca come un indesiderato, a dir poco, è stato nuovamente accusato ieri dal presidente americano un ingrato per la resistenza che continua ad opporre ad una soluzione troppo penalizzante. Eppure Trump, sempre lui, sdoppiandosi da Putin almeno per un attimo, ha declassato a non definitivi i 28 punti del documento tradotto in inglese dal russo, pur avendo preteso una risposta da Kiev entro il 27 novembre, cioè giovedì prossimo.
Trumputin continua a incombere, per carità, ma ha trovato un’incertezza minore del previsto o del desiderato in Europa. Dove i sostenitori dell’Ucraina hanno predisposto 24 punti su cui trattare una soluzione che non comprometta il fronte occidentale che ancora esiste nella realtà politica e militare. E che Trump può indebolire e persino dileggiare in certe sortite e iniziative, come quelle economiche in materia di dazi, ma non eliminare. O non ancora, perché un ordigno di questo genere e di questa portata potrebbe esplodergli in mano, cioè a casa, negli stessi Stati Uniti. Dove il presidente sta già avvertendo segni di una popolarità in calo. Una cosa questa che Trumputin non può aggirare. Lo può Putin, nel sistema dispotico in cui si muove come il pesce nell’acqua, ma non Trump.
Il diavolo, si sa, fa le pentole senza i coperchi, per fortuna.