Chi vuole tenere ostinatamente aperto il caso chiuso al Quirinale

         Pur chiuso a doppia mandata, prima da Sergio Mattarella e Giorgia Meloni direttamente, in un incontro di una ventina di minuti al Quirinale chiesto dalla stessa Meloni, e poi da un comunicato del partito della premier che aveva acceso le polemiche chiedendo un chiarimento, evidentemente intervenuto, continua a produrre polemiche e manovre il caso del consigliere del presidente della Repubblica, Francesco Saverio Garofani, sorpreso in un ristorante romano con terrazza affacciata su Piazza Navona  a discutere con sedici amici di politica e di scenari augurabilmente, per lui, contrari al governo di centrodestra.

 Il consigliere di Mattarella, proveniente come il Presidente  dalla sinistra democristiana   ed esperto dei problemi di Difesa, con la maiuscola, che Mattarella conosce bene già di suo anche per esserne stato il ministro, continua ad essere usato come una clava contro il Capo dello Stato, colpevole di non avere rimosso il suo collaboratore. Anzi, di avergli confermato stima e amicizia, secondo quanto lo stesso Garofani ha raccontato in una intervista al Corriere della Sera confermando di essersi abbandonato, a dir poco, a una “chiaccherata” con amici.

         A tenere aperto ancora il caso, sviluppando polemiche e aprendone di nuove, è naturalmente il giornale che l’aveva aperto – La Verità di Maurizio Belpietro-diffondendo fra virgolette le parole di Garofani ed estendendole imprudentemente ad altri collaboratori di Mattarella neppure presenti alla cena galeotta. Ma gridano e protestano anche giornali dichiaratamente indipendenti e tuttavia schierati, un po’ come partiti, contro il governo e la sua maggioranza. Come il Domani dell’editore Carlo De Benedetti, che ha riferito vistosamente in prima pagina dell’incontro chiarificatore fra Mattarella e Meloni e del successivo e conclusivo comunicato del partito della premier titolando sullo “scontro totale”.

         Quando l’informazione, pur in nome della libertà di opinione, per carità, si sovrappone e schiaccia la politica, rendendosene parte, sino a scavalcare i partiti e gruppi di opposizione, o di maggioranza sul versante opposto, tradisce se stessa, i lettori e gli elettori.

         Il caso, ripeto, è chiuso. Il resto è chiacchiera, per restare al linguaggio e all’incidente del consigliere graziato da Mattarella lasciandolo al suo posto.    

Le affinità obbligate di Sergio Mattarella e Giorgia Meloni

Le affinità fra Sergio Mattarella e Giorgia Meloni, uno presidente della Repubblica e l’altra presidente del Consiglio, non saranno elettive, come quelle del celebre, omonimo romanzo di Goethe, ma sono sicuramente istituzionali. Funzionali alla tenuta del sistema, e non solo alla stabilità politica che contrassegna anche all’estero, forse ancor più che all’interno, il governo italiano in carica da più di tre anni. Sono affinità che resistono -debbono resistere, direi- agli infortuni ai quali è esposta sempre la politica, specie in passaggi difficili e delicati come sono di norma quelli elettorali, anche di livello regionale come domenica prossima in Puglia, Campania e Veneto, a conclusione di un turno cominciato a fine settembre nelle Marche.      

         Il Capo dello Stato e quello del Governo, rigorosamente al maschile preferito dalla Meloni, si sono trovati accomunati dall’imbarazzo procurato loro, rispettivamente, da un consigliere e da un capogruppo parlamentare. Il consigliere è quello della Difesa al Quirinale, l’ex parlamentare Francesco Saverio Garofani, e il capogruppo è quello dei fratelli d’Italia alla Camera Galeazzo Bignami.

         Garofani è stato sorpreso in una “chiacchierata fra amici”, come lui stesso l’ha definita non potendola evidentemente smentire, in un ristorante romano sulle prospettive quirinalizie della Meloni, quando scadrà il secondo mandato di Mattarella, e su uno “scossone” che potrebbe o dovrebbe comprometterle. E ciò a vantaggio dell’alternativa al centrodestra che la segretaria del Pd Elly Schlein fatica, a dir poco, a costruire in un campo forse troppo largo ed eterogeneo. Dove si scontrano e si intrecciano ambizioni personali e distanze, a dir poco, programmatiche, di natura interna e ancor più internazionale.

         Bignami non è stato sorpreso ma di proposito ha cavalcato l’infortunio di Garofani reclamando smentite come se davvero, secondo la versione e la titolazione del giornale La Verità, autore dello scoop, al Quirinale ci fossero consiglieri, al plurale, e forse anche altri ancora impegnati a preparare “un piano” contro il governo e la sua maggioranza di centrodestra. E’ seguita una dura e comprensibile reazione a dir poco infastidita, diciamo pure irritata, degli uffici di Mattarella.

         Come in un’arena col toro, si è scatenata sui giornali, a cominciare da quelli maggiori, una rappresentazione bellica dell’accaduto e, più in generale, della situazione, non bastando evidentemente le guerre che continuano, in Ucraina e in Medio Oriente per parlare di quelle più vicine, o meno lontane. La cosiddetta “alta tensione” ha attraversato i titoli delle prime pagine e gli immancabili retroscena. Calma, colleghi. Mi verrebbe la voglia di ripetere col compianto Ennio Flaiano che, per fortuna solo guardando alle seconde file, “la situazione è grave, ma non è seria”.

Pubblicato sul Dubbio

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