Tutte le verità di Giuliano Vassalli sui magistrati italiani

         In una campagna referendaria già piena di false notizie, e persino false interviste di morti eccellenti violati anche nelle loro ossa o ceneri, Davide Giacalone ha ripescato e riproposto sul suo giornale la Ragione una intervista autentica del compianto Giuliano Vassalli pubblicata il 19 febbraio 1987 dal Financial Times e raccolta da Torquil Dick-Ericson, l’uno e l’altro inglesi. Come -ricordo bene- quell’alto magistrato che dopo qualche anno fu accolto in visita di cortesia e di studio alla città giudiziaria di Roma dal giudice Romano Priore, che in un ascensore gli presentò, viaggiando insieme, un pubblico ministero. Lo stesso Priore raccontò poi in una intervista al Corriere della Sera che l’ospite britannico, finito quel viaggio fugace in una cabina,  gli chiese perché mai a Roma giudici e pubblici ministeri potessero usare uno stesso ascensore. Priore gli rispose che ciò accadeva normalmente non solo a Roma ma in tutta Italia. E l’ospite si portò le mani fra i capelli: quelli veri, non della parrucca che indossava a Londra negli eventi giudiziari.

         Quel magistrato inglese non era evidentemente un lettore del Financial Times. O aveva saltato il numero del 19 febbraio 1987, in cui Vassalli aveva ammesso e spiegato il limite della riforma  che stava preparando con Gian Domenico Pisapia e aveva attirato la curiosità compiaciuta del giornale britannico per il tipo accusatorio del processo, come quello inglese, che stava nascendo anche in Italia.

         “Il concetto del sistema accusatorio -aveva detto un po’ deludendo forse l’intervistatore- è assolutamente incompatibile con molti altri principi destinati a rimanere in vigore nel nostro diritto, in particolare con il nostro ordinamento giudiziario. Parlare di sistema accusatorio laddove il pubblico ministero è un magistrato uguale al giudice non è molto leale”. Infatti a separarne le carriere ci stiamo arrivando 38 anni dopo, se la riforma appena approvata finalmente dalle Camere sarà confermata nel referendum nel cui Pantheon è stato giustamente collocato il compianto Vassalli dai sostenitori del sì.

         Ancora più impietosa e preveggente, per comprendere le preoccupazioni, se non lo scetticismo di Vassalli è -a leggerla oggi- la sua risposta alla domanda dell’intervistatore sul perché “non si cambia l’ordinamento giudiziario”, oltre al processo. “La magistratura -aveva risposto e spiegato Vassalli- ha un potere enorme, non solo in linea di fatto. Lo ha sul potere legislativo. E’ il più forte gruppo di pressione che abbiamo conosciuto, almeno nelle questioni di giustizia. Fino adesso, in 40 anni non c’è stata una legge in materia di giustizia che non sia stata ispirata e voluta dalla magistratura, la quale è diventata sempre più un corpo veramente corporativo. Il ministro della Giustizia è circondato esclusivamente da magistrati, i quali occupano tutti i posti del Ministero, cioè dell’amministrazione centrale. Tutti”. E li avrebbero conservati anche con l’arrivo dello stesso Vassalli alla guida del dicastero, prima di andare alla Corte Costituzionale per diventarne anche presidente.          

Le 5000 tonnellate d’oro che non sappiamo di avere in casa

Altro che il “nulla” esageratamente contestatole da Romano Prodi, convinto in una intervista appena rilasciata al Corriere della Sera che la premier in carica viva solo della sua “stabilità”, prodotta non dalla propria abilità o dal consenso elettorale e sondaggistico ma dalla perdurante assenza di un’alternativa, perseguita solo a parole dagli avversari accampati fra sigle, ambizioni e tende confezionate dall’infaticabile Goffredo Bettini. Giorgia Meloni ne trova una quasi ogni giorno per mandare in tilt le opposizioni e farle cuocere, esse sì, nel brodo delle polemiche roboanti, persino al loro interno.

         Accusata anche o soprattutto dal segretario generale della Cgil Maurizio Landini, che mi sembra spesso il re e imperatore del “campo largo” di cui si contendono il ruolo di vice o di attendente la segretaria del Pd Elly Schlein e l’ex premier pentastellato Giuseppe Conte, almeno nei giorni dispari, perché in quelli pari egli gioca a destra; accusata, dicevo, di avere confezionato con Giancarlo Giorgetti una manovra finanziaria a favore dei ricchi, la Meloni può ora intestarsi per ritorsione l’idea venuta al ministro dell’Economia di ridurre di quasi la metà la tassa sull’oro: dal 26 e rotti per cento al 12,5. Che potrebbe produrre circa due miliardi di euro.

         Sembra che i risparmiatori italiani custodiscano in casa o nelle cassette di sicurezza delle banche, fra lingotti e gioielli, che prima o dopo avranno bisogno o voglia anche loro di vendere incorrendo nel prelievo fiscale, 5000 tonnellate d’oro. Ripeto in lettere, come in un assegno: cinquemila. Che mi sembrano, salvo errori forse in difetto, più del doppio dell’oro della Banca d’Italia. E cinque volte la quantità dell’oro italiano custodito nel forziere americano di Fort Nox da cui Prodi ha recentemente consigliato il ritiro e il ritorno a casa, non dovendoci e non potendoci più fidare del presidente Donald Trump, come invece fa ancora la Meloni         guadagnandosene carinerie in privato e ancor più in pubblico.

         L’oro privato italiano, diciamo così, su cui Meloni e Giorgetti, o viceversa, hanno messo gli occhi per fare quadrare i conti e smentire gli avversari non è certamente riconducibile ai poveri, anche se fra le pieghe delle statistiche e altre diavolerie come gli accertamenti spuntano spesso fuori  poveri di alta fascia, diciamo così, non abbastanza furbi da farla franca del tutto, per fortuna.

L’oro sta ai ricchi come la notte al buio, e il giorno alla luce. Vedrete che prima o dopo per questa storia specifica dell’oro a tassazione agevolata per fare cassa l’immaginifico Landini, sempre lui, seguito dalla Schlein, sempre lei, troverà qualche altro venerdì da fare trascorrere in sciopero generale, allungando il già nutrito elenco di ponti più o meno natalizi. E alla Meloni che protesterà, o farà solo la spiritosa, saranno rovesciate addosso le solite accuse di indomito fascismo, attentato alla libertà di sciopero e, più in generale, alla democrazia. Se basteranno, e non verrà in mente a qualche avvocato con buone entrature in qualche Procura della Repubblica di spingerla verso il relativo tribunale dei ministri.

Pubblicato sul Dubbio

Blog su WordPress.com.

Su ↑