L’incontenibile entusiasmo di Elly Schlein per il nuovo sindaco di New York

         Male che vada, se il presidente americano Donald Trump riuscisse davvero a neutralizzarlo come disturbatore, niente di più perché la Casa Bianca gli è già preclusa costituzionalmente essendo nato in Uganda , l’appena eletto sindaco di sinistra di New York Zohran Mamdani ha già un’uscita di sicurezza. E’ in Italia. Dove la giovane, pure lei, segretaria italo-americana- svizzera Elly Schlein ne ha subito celebrato “la splendida vittoria”, pronta a cedergli ciò che forse ancora resiste a concedere a Giuseppe Conte: la leadership del famoso “campo largo” dell’alternativa al centrodestra di Giorgia Meloni. Fra le cui colpe c’è quella peraltro  di essere simpatica, quanto meno, all’antipatico  presidente degli Stati Uniti.

         In compenso, diciamo così, di tanta generosità, di tanto entusiasmo, di tanto orgasmo virtuale per la vittoria splendida, ripeto, del suo fratello minore, anche lui virtuale, della sinistra d’oltre Oceano, la Schlein si è guadagnata dal sarcastico Libero, in Italia, la promozione a nuova statua della libertà a New York, con tanto di insegna della falce e martello sul petto, anzi sul cuore. Un’insegna ben impressa e visibile  come la foto di Enrico Berlinguer sulle tessere di iscrizione al Partito Democratico italiano, omonimo di quello americano ridotto da Trump in braghe di tela.

Quell’ambiguo “giullare” rimediato in morte da Forattini su Repubblica

         La rottura fra Giorgio Forattini ed Eugenio Scalfari a Repubblica avvenne nel 1999, a 23 anni dalla nascita del giornale che fra poco ne compirà 50. Ventitre anni trascorsi da “giullare di carta”, come Massimo Giannini sullo stesso quotidiano ha definito il vignettista per celebrare la morte del componente sicuramente più fantasioso, e anche produttivo di lettori, della squadra del fondatore. Un giullare che personalmente non mi è piaciuto, al di là delle intenzioni del celebrante, spero, perché più facile da collegare ad una corte che ad un pubblico, considerando la cerchia ristretta con la quale l’artista aveva condiviso il lavoro partecipando alle riunioni di redazione e interloquendo sulla confezione del prodotto.

         Solo di un giullare inteso come io ho sospettato il celebrante Giannini poteva scrivere d’altronde ciò che ha scritto, appunto, del suo lavoro dopo la rottura con la corte e il passaggio ad altri giornali, a cominciare dalla Stampa dove aveva voluto ospitarlo il compianto Gianni Agnelli, ripetendo il gesto compiuto con Indro Montanelli quando era uscito, anzi era stato licenziato dal Corriere della Sera.

         “Non so dire di quel periodo” successivo all’esperienza di Repubblica “perché avevo smesso di seguirlo”, ha scritto con una certa spocchia Giannini, aggiungendo la convinzione di “non essere stato il solo”. Forattini era insomma caduto nel “cono d’ombra” dove lo stesso Scalfari disse una volta di considerare finiti tutti quelli che ad un ceto punto avevano smesso di adorarlo, o di rispettarlo nella intensità dovuta. “Non per la sua virata a destra…passando il suo Rubicone berlusconiano”, ha spiegato Giannini, ma Forattini non meritava di essere più seguito perché “mi pareva avesse proprio perso il tocco”. Aveva, più semplicemente, cambiato corte. E nella nuova non meritava più nulla. Era precipitato dal Paradiso di Scalfari all’Inferno di Silvio Berlusconi e affini.

         Questa storia della corte in cui si può entrare ma non si può uscire senza perdere tutto, o quasi, mi è tornata in mente leggendo la storia, che francamente non conoscevo, dell’inizio della crisi nei rapporti fra Scalfari e Forattini, o viceversa, raccontata dallo stesso Giannini e risalente al 1991. Quando Forattini scrisse a Scalfari una lettera di protesta per avergli praticamente cestinato una vignetta “in cui Giovanni Paolo II, presentando l’enciclica per il centenario della Rerum Novarum, diceva a braccia aperte: “Fratelli, siate De Benedetti”. A leggere il nome del suo editore e ancora amico, Carlo De Benedetti, appunto, Scalfari aveva deciso la censura. E rispose, seccato, alla protesta di Forattini, scrivendogli che la vignetta rifiutata “mi è sembrata una cosa priva di senso, dove non c’erano né satira né umorismo” nei riguardi del Papa e di De Benedetti. Che -scrisse ancora Scalfari con umorismo involontario, a dir poco- “sempre potrai prendere per i fondelli”, separatamente o insieme, ma non evidentemente su Repubblica, come otto anni dopo Forattini si rese conto andandosene.

         Dei tre -Scalfari, Forattini, Giovanni Paolo II e De Benedetti- è rimasto ormai in vita solo quest’ultimo. Del quale voglio augurarmi che non abbia apprezzato l’inedito.  

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