Sono passati 40 anni non solo dalla notte di Sigonella, celebrata in questi giorni anche da noi, del Dubbio, per il punto di non ritorno che segnò, a livello nazionale e internazionale, nei rapporti fra gli Stati Uniti e l’Italia. Il cui presidente del Consiglio Bettino Craxi, anche a costo di far dimettere ma poi recuperare il ministro della Difesa Giovanni Spadolini, negò in un drammatico scenario militare nella base siciliana la consegna dei terroristi palestinesi responsabili del dirottamento della nave Achille Lauro. Durante il quale era stato ucciso il crocerista ebreo di nazionalità americana e invalido Leon Klinghoffer.
Quei terroristi -impose Craxi ad un Reagan che li reclamava- potevano e dovevano essere processati, come furono, solo in Italia. Persino un’opposizione agguerrita come quella del Pci, che viveva la presidenza socialista del Consiglio come una doppia tragedia politica, riconobbe a Craxi in Parlamento di essersi comportato al meglio.
Sono passati 40 anni anche da un’altra notte, non nella lontana Sigonella ma a Roma, in Piazza Indipendenza. Dove Francesco Cossiga, ancora fresco di elezione al Quirinale succedendo a Sandro Pertini, aveva disposto la mobilitazione di un reparto antinsurrezionale dei Carabinieri, al comando di un generale di brigata, per un intervento sul Consiglio Superiore della Magistratura, di cui era presidente per dettato costituzionale, se in una riunione dalla quale lui lo aveva diffidato si fosse occupato dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi. Che aveva avuto da ridire, solidarizzando con alcuni deputati del suo Psi, a cominciare da Ugo Intini, sul trattamento giudiziario da sconto riservato ai responsabili dell’agguato mortale al giornalista Walter Tobagi, del Corriere della Sera. Un agguato col quale essi abevano contato di guadagnarsi l’arruolamento nelle brigate rosse.
Fu una notte, accompagnata dal ritiro delle deleghe al vice presidente del Consiglio Superiore Giovanni Galloni, amico e collega di partito, la Dc, in cui Cossiga voleva segnare un punto di non ritorno nei rapporti fra magistratura e politica, impedendo un processo a Craxi alle spalle del Parlamento che gli aveva concesso la fiducia e, unico, poteva negargliela. Craxi naturalmente ringraziò, la magistratura e la sinistra capeggiata dal Pci no. E si presero la rivincita, a modo loro, dopo meno di dieci anni troncandogli la carriera e la stessa vita, sia pure per interposto tumore renale e complicazioni cardiache.
Quel no al processo a Craxi nel Consiglio Superiore della Magistratura doveva essere un punto di non ritorno anch’esso, ripeto, come quello a Sigonella sui rapporti fra alleati nella Nato. Ma si profila proprio in questi giorni un ritorno col processo che si vorrebbe fare nel Consiglio Superiore non, o non ancora al presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ma al suo ministro della Giustizia Carlo Nordio. Un processo simulato come “pratica a tutela” del tribunale dei ministri, che avrebbe voluto fare un processo giudiziario al Guardasigilli, ed altri colleghi di governo, per l’affare Almasri. Un processo non autorizzato dalla Camera e nella cui impostazione Nordio ha, nel suo stile di estrema franchezza, ravvisato gravi errori, a dir poco.
Pubblicato sul Dubbio