Il processo surrettizio a Nordio con la “tutela” del tribunale dei ministri

E’ in corso al Consiglio Superiore della Magistratura, su iniziativa di almeno quindici esponenti, secondo i calcoli e le cronache del Fatto Quotidiano, la procedura di una “pratica a tutela”, la sesta o settima in questo 2025, di toghe e uffici che sarebbero minacciati da iniziative e critiche fuori misura, diciamo così. Questa volta la tutela sarebbe, in particolare, per il tribunale dei ministri. Che ha inutilmente cercato di processare per l’affare del generale libico Almasri, i titolari dei dicasteri della Giustizia e dell’Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega dei servizi segreti, Alfredo Mantovano.

         Il processo in tribunale per favoreggiamento e altro del libico rimpatriato, di cui la Corte internazionale penale dell’Aja aveva disposto un arresto per crimini contro l’umanità eseguito in Italia in circostanze e modalità controverse, riconosciute dalla stessa magistratura liberandolo, non si farà. O forse si farà, come stanno cercando in Procura a Roma, solo contro il capo di Gabinetto di Nordio, se dovesse permetterlo, a questo punto, la Corte Costituzionale cui potrebbe ricorrere la Camera.  Ma un processo a Nordio in persona vorrebbe essere fatto nel Consiglio Superiore in modo virtuale ma pur sempre significativo nel suo carattere indiretto e subdolo.

         L’iniziativa è stata presa dalle componenti togate e laiche della sinistra giudiziaria e politica. Non vi hanno contribuite quelle di area di centrodestra, compresa la corrente chiamata “Magistratura indipendente”, cui mi risulta che appartenga ancora il presidente dell’associazione nazionale delle toghe Cesare Parodi.

         Non vorrei essere troppo malizioso, toppo incline andreottianamente a pensare male facendo peccato ma indovinando, o azzeccandoci, direbbe Antonio Di Pietro. Tuttavia questa storia del processo indiretto  al ministro della Giustizia nel Palazzo dei Marescialli, che è la sede del Consiglio Superiore della Magistratura, mi sembra anche un tentativo di tirare la giacca al presidente dell’organo di autogoverno delle toghe, che per Costituzione è lo stesso Capo dello Stato. Del quale ho perso il conto, da giornalista ed estimatore, degli interventi verbali e operativi di fiducia, pur nel contesto di qualche situazione a dir poco critica, nella volontà e capacità, e non solo dovere, della magistratura ad un rapporto “cooperativo” fra gli organi dello Stato.

         Ebbene, a costo di sembrarvi ingenuo se non malizioso, ripeto, mi sembra francamente un tradimento della fiducia del presidente della Repubblica un processo pur virtuale, nascosto fra le pieghe di una “pratica a tutela” del tribunale dei ministri, al Guardasigilli colpevole di avere criticato con la sua solita franchezza errori e quant’altro ravvisati, anche con la sua lunga esperienza giudiziaria, nelle indagini e nella impostazione del procedimento contro di lui vanificato dalla Camera.

         Ora potrebbe toccare con la copertura di una pratica, ripeto, a tutela di un magistrato o di un ufficio giudiziario, al ministro della Giustizia, Domani o dopodomani potrebbe accadere a Giorgia Meloni, viste le possibilità che ha di rimanere  a Palazzo Chigi anche dopo le prossime elezioni politiche, o di salire ancora più in alto, e la sua abituale franchezza nel parlare pure lei dei rapporti fra magistratura e politica.

Vi si arrivò ad un palmo anche quaranta anni fa con l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi e Francesco Cossiga al Quirinale. Che, anche a costo forse di fare sobbalzare al Senato il suo predecessore Sandro Pertini, di rompere i rapporti con l’amico di partito Giovanni Galloni, privandolo delle deleghe come vice presidente del Consiglio Superiore e di tirare giù dal letto un generale di brigata -come avrebbe raccontato a Paolo Guzzanti autorizzandolo a riferirne- per fargli comandare un reparto antisommossa dei Carabinieri, impedì fisicamente quel processo.

Pubblicato su Libero

Maurizio Landini la fa tanto grossa da non riuscire a coprirla

         La buonanima di Amintore Fanfani ordinava nel suo toscano stretto, con tutte le aspirazioni del caso, di coprirla a chi, secondo lui, l’aveva fatta o detta grossa. Erano gli anni Sessanta, naturalmente del secolo scorso. Maurizio Landini, che ne ha 64, era solo un bambino.  E, avendole qualche giorno fa dato della “cortigiana” nei rapporti col presidente americano Donald Trump si è sentito dare da Giorgia Meloni una lezione di italiano, sfogliandone un dizionario in cui si dà della cortigiana anche ad una prostituta, e non solo a chi frequenta una qualsiasi corte. O cortile, magari, come ho sentito scherzare in un salotto televisivo in cui la conduttrice non si è lasciata scappare l’occasione per imbastire un mezzo processo, il solito, alla premier troppo vittimista e permalosa, secondo lei e i suoi ospiti solitamente pronti a guadagnarsi un altro invito.

         Nessuno degli ospiti di Lilli Gruber, e tanto meno lei, ha voluto dare a Landini, assente non so se per mancata chiamata o per rifiuto, dell’incontinente. Forse temendo che il segretario generale della Cgil e un po’ anche custode, diciamo così, del cosiddetto campo largo dell’altrettanto cosiddetta alternativa al centrodestra della Meloni, si mettesse a sfogliare il dizionario pure lui, come la premier, e rinfacciasse loro l’aspetto anche urinario, diciamo così,  che ha appunto l’incontinenza. Come quella di chi nei giorni scorsi ha fatto la pipì sull’altare principale della Basilica di San Pietro.

         E pensare che all’ultimo congresso della Cgil non un omonimo, ma proprio Maurizio Landini invitò e accolse con cordialità e galanteria la premier, rimediando anche qualche fischio del pubblico fermo alla rappresentazione della presidente del Consiglio come di una fascista irriducibile, arrivata a Palazzo Chigi per vendicare Mussolini, che vi era già passato nel suo ventennio come ministro degli Esteri, a pochi passi da Palazzo Venezia.

Di quell’accoglienza di Landini alla Meloni, scortata dal suo allora portavoce Mario Sechi, si trova ancora qualche foto navigando per internet. Foto che debbono essere diventate per il segretario generale, ripeto, della Cgil un’ossessione da cui riscattarsi, sino a farla -per tornare alla buonanima di Fanfani- tanto grossa da non poterla coprire. E da arruolarsi, paradossalmente, negli avversari della Meloni che masochisticamente lavorano di giorno e di notte per lei, spianandole con i loro errori  la strada per la conferma alla guida del governo dopo le elezioni, fra  due anni, e poi forse anche per la promozione al Quirinale, scadendo due anni ancora dopo il secondo mandato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

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